Maria Vingiani: Saroglia (Sae), “una donna da imitare, una figura attuale e di ispirazione per i giovani”. Ribet (pastore valdese), “ha fatto da ponte essendo ai margini”

“Maria Vingiani è stata una donna da imitare. Non era un ‘santino’, sapeva trasmetterti emozioni forti e dava direttive molto precise. Non era mai contenta né di se stessa né degli altri. Era una visionaria e aveva un progetto. Era una donna in ricerca che insegnava agli altri a mettersi in ricerca”. Lo ha detto Donatella Saroglia, uno dei membri del Comitato esecutivo del Sae, in un ricordo della fondatrice del Segretariato attività ecumeniche (Sae), che c’è stato durante la 59ª sessione di formazione ecumenica del Sae ad Assisi.
“Dal mio punto di vista – ha proseguito Saroglia – è una figura attuale e di ispirazione per le persone più giovani grazie alla sua capacità di leggere e interpretare i segni del suo tempo, al desiderio di guardare oltre il confine e fare passi coraggiosi. Le sue lettere a vescovi, preti, pastori e rabbini avevano due livelli: un’alta carica umana e un alto contenuto concettuale, due aspetti che costituiscono la spina dorsale del Sae”.
La sessione è una stratificazione di livelli: non è solo convegno ma anche preghiera, liturgia, laboratorio, incontro. In essa Maria Vingiani “concepiva la messa in pratica completa della sua visione dell’ecumenismo: un’esperienza di fratelli e sorelle che vivono insieme, imparano a parlare e a litigare sempre nel rispetto e nella capacità di riconoscersi come fratelli e sorelle”.
Saroglia ha messo in luce anche l’aspetto di genere: “Nonostante venisse da un’epoca in cui il linguaggio non era inclusivo, è sempre stata una donna che ci teneva alla sua collana, ai capelli. In un’epoca maschilista non voleva scimmiottare un uomo. Una delle caratteristiche del suo impegno è stata la laicità che, in quanto donna, aveva un valore aggiunto. Così è stato per sue coetanee care al Sae come Adele Salzano, Clara Achille Cesarini, Chiara Vaina. Donne che hanno riscoperto la loro essenza cristiana nell’espressione della laicità, nella libertà di essere figlie di Dio attive e propositive”.
Paolo Ribet, pastore valdese, ha ricordato il suo primo incontro con il Sae che avvenne nella sessione estiva del 1980: “Invitato alla Mendola, sono partito e arrivando ho trovato, soprattutto da Maria, accoglienza, libertà, fraternità. Mi faceva sentire importante e mi ha fatto sentire a casa mia”.
La condizione di marginalità da cui Maria proveniva e da cui ha scelto di partire, ha continuato Ribet, “si è rivelata feconda. Essere donna laica in un mondo di uomini ai margini della Chiesa le ha reso possibile l’incontro con gli altri. Maria Vingiani ha fatto da ponte perché si è messa ai margini”.

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