Codice di Camaldoli: Torresi (Università Roma Tre), “sua elaborazione parte di ricerche per convogliare energia di antifascismo in nuove prospettive istituzionali e civili”

Tornati a valle i partecipanti al convegno a Camaldoli, “caduto il 25 luglio il regime fascista, tutto si mise repentinamente in moto”. Lo ha ricordato Tiziano Torresi dell’Università degli Studi Roma Tre, nella relazione introduttiva, del convegno “Il Codice di Camaldoli”, aperto oggi pomeriggio al Monastero di Camaldoli (Ar). “All’inizio di agosto circolava già la bozza degli enunciati” di quello che sarebbe stato il Codice di Camaldoli e “si ragionava di convocare, entro l’estate, altri convegni a Brescia e a Roma. Ma i tempi che il lavoro supponeva erano travolti dagli eventi. Il momento dell’azione si faceva improvvisamente vicino, nella febbrile ricerca di orientamenti e di uomini per riorganizzare la vita politica”. Lo sforzo venne affidato a “un ristretto comitato di redazione. Uomini di diversa estrazione – teologi, professionisti dell’Iri, filosofi del diritto – furono mossi da un comune impegno di ricerca, di ricostruzione, di affermazione di un ordine sociale diverso, di uno Stato nuovo, che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini. Dentro appunti e bozze si avverte, ancora una volta, la lezione della storia”.
“C’era adesso l’urgenza – scaturita dalla ferita dell’8 settembre – di saldare i vincoli di una nuova etica civile, di propiziare un profondo rinnovamento morale della nazione basato su una cittadinanza responsabile. Si trattava anche di saper gestire la drammatica sconfitta dell’Italia e di organizzare la Resistenza – ha osservato Torresi -. Lo intuì Alcide De Gasperi, incuriosito dalla lettura delle bozze del Codice, in una lettera a Paronetto del 10 ottobre 1943 nella quale indicava senza equivoci che l’antifascismo doveva essere, specialmente verso i giovani, una pregiudiziale ricostruttiva ed etica e non l’arma di una lotta politica fine a sé stessa. L’elaborazione del Codice sarebbe così stata parte di un vasto campo di ricerche per convogliare l’energia di questo antifascismo verso nuove prospettive istituzionali e civili”.
L’elaborazione del testo “si protrasse nel lungo e cupo inverno dell’occupazione di Roma”: “Uomini di pensiero e di azione si cimentarono in una integrazione dei dati con le dottrine, poi con gli istituti che ne erano l’espressione, e infine con gli uomini, in un circolo ermeneutico che dal dato biografico e umano si immergeva nel diritto, nell’economia e nella politica, per ritornare all’uomo”. Al momento della liberazione di Roma, nel giugno 1944, “il testo era pressoché ultimato. L’idea era di diffonderlo subito, per stimolare la discussione, raccogliere i giudizi e poi curarne la pubblicazione definitiva. Il prolungarsi della guerra, le obiezioni di alcuni redattori, la mancanza della carta rinviarono la pubblicazione sino alla primavera successiva. L’impresa, principiata quando ancora su tre continenti svettava la bandiera con la croce uncinata, aveva il suo epilogo in sedicesimi in coincidenza della Liberazione”. Il 25 aprile cominciava una storia nuova”. Il Codice “usciva così dalla tipografia con il significativo titolo ‘Per la comunità cristiana’, che indicava un processo in fieri, l’invito a proseguire il lavoro”.

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