Caritas italiana auspica “una mediazione dell’Onu e di altri governi che portino ad un ripensamento della decisione” russa di non rinnovare l’accordo per l’export di grano ucraino attraverso i tre porti sul Mar Nero di Chornomorsk, Yuzhny e Odessa. Lo dice al Sir Paolo Beccegato, vicedirettore e responsabile dell’area internazionale di Caritas italiana. L’intesa è scaduta a mezzanotte del 17 luglio e già numerosi sono stati gli appelli, tra cui quello del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che teme centinaia di milioni di persone in più a rischio fame nel mondo. “La strumentalizzazione del cibo è un fenomeno crescente che dà scandalo, perché rende drammatica la vita per milioni di persone”, afferma Beccegato. “Il quadro complessivo dentro cui si colloca questa decisione, speriamo temporanea, è molto preoccupante – osserva -. I territori sono molto preoccupati: sia per il tema della fame con il rischio di aumento dei prezzi dei cereali, l’accessibilità e la distribuzione, sia per l’impatto crescente sul settore umanitario delle catastrofi e delle guerre. C’è un numero maggiore di persone nel mondo che dipende dagli aiuti umanitari”. Tra i principali importatori del grano ucraino ci sono anche Paesi occidentali, tra cui l’Italia, ricorda, “ma non bisogna dimenticare che nei mercati ci sono tutte triangolazioni, elaborazioni del cibo e distribuzione successiva. Bisogna guardare al fenomeno nella sua complessità e globalità, non solo ai primi mercati di destinazione. Certamente il rischio di spinte inflazionistiche su scala globale è quanto mai reale”. Il legame crescente tra conflitti, fame e povertà è un dato purtroppo ricorrente nelle ultime guerre: “Ci sono stati fenomeni crescenti di strumentalizzazione del cibo come strumento di guerra per ridurre alla fame la parte nemica. Ovviamente non distinguendo nella parte nemica i miliziani, ossia coloro che la guerra la fanno e la vogliono, dalla popolazione civile, e creando conseguenze enormi per il conflitto stesso. Le vittime indirette sono infatti superiori alle vittime dirette”. Dinamiche simili si sono viste nello Yemen, nella Repubblica democratica del Congo, nella Repubblica Centrafricana, nel Tigray in Etiopia, in Somalia. “È un fenomeno su scala globale, molto diffuso, di cui non sono note fino in fondo tutte le conseguenze. Perché il fatto di soffrire la fame è un dato meno visibile rispetto ai morti a causa dei bombardamenti”.
“Un eventuale blocco completo e definitivo creerebbe un problema enorme – avverte Beccegato -, ecco perché dobbiamo fare un appello veramente forte ad una mediazione, un ripensamento nei prossimi giorni, senza attendere troppo. Sappiamo che le dinamiche sono molto correlate e le decisioni possono avere anche dei tatticismi che possono essere rivisti in una logica più lungimirante. Sappiamo di incontri a livello di leadership russa e ucraina con i leader africani. Chiediamo con forza che vi sia un ripensamento rispetto a questa decisione e una mediazione dell’Onu e di altri governi. Nei termini della questione alcuni aspetti possono essere rivisti e migliorati, l’auspicio è che si possano ampliare i margini attualmente in vigore per la distribuzione dei cereali e che questa decisione venga rivista. Perché se ci fosse un blocco totale, per un periodo lungo, sarebbe veramente drammatico”.