“La requisitoria di oggi ha dimostrato la totale assenza di linearità dell’accusa che nel tentativo di difendere la propria indagine contro il cardinale, franata durante il processo, ha omesso prove e contestazioni per dare spazio a suggestioni e giudizi etici e moralistici perfino sulle modalità con le quali il cardinale si è difeso. Verrebbe da chiedersi a cosa siano servite 63 udienze…”. È quanto dichiarano Maria Concetta Marzo e Fabio Viglione, difensori del cardinale Angelo Becciu. “Si insinua addirittura che il cardinale fosse in grado di condizionare l’informazione per delegittimare l’indagine”, obiettano i legali a proposito della requisitoria del promotore di giustizia vaticano, Alessandro Diddi, che ha inaugurato la fase finale del processo in corso in Vaticano per gli investimenti della Segreteria di Stato a Londra: “Davvero paradossale. Il cardinale infatti ha subito per oltre due anni una pesantissima gogna mediatica senza precedenti. E per molti mesi alcuni giornali hanno sfigurato l’immagine del cardinale con accuse che non hanno riguardato neanche l’indagine”, proseguono gli avvocati. “Poiché siamo alla fiera del paradosso – concludono Viglione e Marzo – da un lato si accusa il cardinale di non aver consentito che ‘si mettesse il naso’ nei conti, riservati, della Segreteria di Stato, dall’altro quella stessa trasparenza viene messa in secondo piano quando non si offrono alla difesa e al processo i numerosi elementi coperti da omissis. È il caso dei noti messaggi inviati dall’amica di mons. Perlasca sul cellulare del Promotore dopo la burrascosa deposizione del prelato in Aula. In ogni caso un dato è certificato: anche sull’operazione del palazzo di Londra nessuna ‘regia’ del cardinale, che si limitò solo a ratificare la proposta pervenuta dall’ufficio diretto da mons. Perlasca nell’interesse esclusivo della Santa Sede”.