L’operazione che ha portato all’acquisto del Palazzo di Londra “ha determinato un danno alla Segreteria di Stato, e dunque alla Santa Sede, che va da 139 milioni a 189 milioni di euro”. Lo ha detto il promotore di giustizia vaticano, Alessandro Diddi, nella seconda parte della sua requisitoria sul processo in corso in Vaticano sugli investimenti della Segreteria di Stato a Londra. L’acquisto del Palazzo di Sloane Avenue, per come è stato conteggiato, “ha determinato un danno alla Segreteria di Stato, e dunque alla Santa Sede, che va da 139 milioni a 189 milioni di euro”, ha affermato il Pm, secondo quanto riferito dal “pool” di giornalisti ammessi nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani. Per Diddi – che ha citato il discorso di Papa Francesco riferito ai beni ecclesiastici “da gestire secondo i principi di parsimonia e di cautela nella gestione delle cose altrui, sulla base del comportamento di un buon padre di famiglia” – nel caso del Palazzo di Londra si è verificata “una voragine di norme, in spregio sia alle norme della Pastor Bonus che delle norme del Codice canonico”. Nel corso del processo, inoltre, secondo il promotore di giustizia si è registrata “una incredibile dicotomia all’interno della Segreteria di Stato, e in particolare nell’Ufficio affari generali, come se il Sostituto fosse manipolato dai suoi collaboratori, secondo la fotografia fatta da Peña Parra”. “Finché è stato sostituto il cardinale Becciu – ha detto Diddi – lui diceva che non si occupava piccole cose ma di affari molto più importanti, anziché sorvegliare l’operato dei suoi collaboratori”. Ricostruendo le modalità attraverso cui si arrivò, nell’investimento sul Palazzo di Londra, “a sperperare da 139 a 189 milioni di euro le risorse della Segreteria di Stato”, il Pm ha affermato che i fatti “hanno una data precisa di inizio, e cioè il 12 ottobre 2012, quando arriva in Segreteria di Stato la lettera della Falcon Oil che proponeva un investimento petrolifero in Angola”. “In segreteria di Stato arrivano tante richieste, ma questa non era un’opera di carità, bensì un’operazione speculativa a prescindere”, ha commentato Diddi, ricordando che il capo della Falcon Oil, Mosquito, era un imprenditore angolano, “persona conosciuta da Becciu, tanto che finanzierà suo fratello in un’altra attività. Becciu lo conosceva da 14 anni, da quando era nunzio in Angola”. Poi, come è noto, l’operazione Falcon Oil non andò in porto e fu archiviata, perché “improvvisamente non andò più bene, non dava più garanzie”. E si apre così il capitolo del Palazzo di Londra, con un’operazione che attribuiva all’immobile di Sloane Avenue una valutazione di 230 milioni di sterline, “con la prospettiva che in futuro diventassero di un valore variabile tra 489 e 454 milioni”. L’operazione verrà approvata, secondo Diddi “violando il dettato normativo e le regole di governance”. “La scelta di investire su un immobile che si sarebbe dovuto rivalutare con l’immissione di altri capitali della Santa Sede era un’operazione totalmente commerciale”, ha dichiarato il promotore di giustizia, a parere del quale il Palazzo di Londra è stato oggetto di “una supervalutazione”: “Crasso, Tirabassi e Mincione erano tutti d’accordo sul valore non conforme dell’immobile: l’importante era che la gestione passasse da Mincione a Torzi, cosa che avrebbe portato liquidità nelle tasche private dei soggetti”.