Il memorandum d’intesa firmato ieri a Cartagine tra Unione europea e Tunisia non “mette al centro i diritti umani” e “non risolverà in maniera significativa i flussi. C’è da aspettarsi una riduzione nell’immediato, ma poi riprenderanno più massicciamente dalla Libia”. Lo dice al Sir Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana. “Oramai è noto a tutti: non sono questi gli strumenti che bloccano le partenze – sottolinea -. I migranti hanno un bisogno estremo di trovare una soluzione alla loro esistenza e quindi si sposteranno su altre rotte. Questi interventi un po’ tampone hanno breve durata, che rimane comunque funzionale a scopi più di natura politica. Noi avremmo voluto vedere invece un impegno vero da parte di altri Paesi europei, nel meccanismo di ricollocamento e nella modifica del Regolamento di Dublino”. “Non vediamo negativamente un accordo bilaterale fatto con un Paese di transito come la Tunisia. Il problema è che questi accordi non hanno mai messo al centro i diritti umani – precisa -. In Tunisia ci sono state nelle scorse settimane rivolte con vittime, rinvii forzati in Libia, migranti sub sahariani abbandonati in una terra di nessuno. Il tema dei diritti umani avrebbe dovuto essere centrale nella richiesta di garanzie al governo di Kais Saied affinché la gestione dei migranti avvenga rispettando principi irrinunciabili. L’unica preoccupazione è quella di bloccare i flussi. Anche perché tutto lo sforzo di tentare una redistribuzione negli altri Paesi europei non ha funzionato, mentre sarebbe stata una valvola di sfogo per ridurre la pressione sui Paesi di primo approdo. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo ha indotto ad accelerare, come accade con la Turchia, ossia a stringere accordi onerosi con i Paesi di transito per convincerli a collaborare nel contrasto all’immigrazione. Poi se questo accadrà è tutto da vedere, perché anche con la Libia sembrava di aver raggiunto chissà quale risultato ma negli anni le partenze sono continuate”. Nell’accordo sono previsti anche 50 milioni per rimpatri volontari di 6mila migranti dalla Tunisia verso i Paesi di origine. “C’è da capire come verranno fatti i rimpatri, soprattutto se prevedranno delle forme di sostegno alle persone. Perché se non trovano il modo di dare una nuova direzione alla propria esistenza è evidente che tenteranno nuovamente la traversata”, osserva Forti. A suo avviso per il governo tunisino il memorandum “è l’occasione per contrattare con l’Europa un aiuto economico su vasta scala con un impegno nelle migrazioni che magari poteva essere assunto comunque. Credo che il sistema di polizia tunisino sia in grado di controllare i trafficanti. Probabilmente dopo ci sarà un impegno maggiore che determinerà una riduzione dei flussi. Il problema è che se non cambiano le condizioni strutturali del Paese ci sarà comunque una tendenza alla partenza. Se in Tunisia non sarà possibile partire si riprenderà massicciamente dalla rotta libica”.
“Questi interventi un po’ tampone – afferma – hanno una breve durata, che rimane comunque funzionale a scopi più di natura politica. Forse vedremo una riduzione nell’immediato ma poi i flussi aumenteranno di nuovo. La cosa curiosa è che sembra che il destino si accanisca contro chi in campagna elettorale prospettava il blocco navale e cose del genere, invece questo governo si trova a gestire i numeri più alti degli ultimi anni. Questo dimostra che i vari strumenti adottati finora hanno un respiro molto corto. Noi avremmo voluto vedere invece un impegno vero da parte di altri Paesi europei, nel meccanismo di ricollocamento e nella modifica del Regolamento di Dublino”. Questo memorandum, conclude, “è un po’ un alibi per coprire quel fallimento”.