Il Tribunale elettorale supremo del Guatemala ha annunciato ufficialmente ieri, a tre settimane di distanza dalle elezioni, i risultati elettorali definitivi, i 160 deputati che comporranno il Congresso guatemalteco dal 2024, confermando che il 20 agosto si terrà il ballottaggio tra Sandra Torres e Bernardo Arévalo. In una conferenza stampa, i cinque magistrati del tribunale hanno certificato i risultati delle elezioni per il nuovo Congresso, che entrerà in carica il 14 gennaio 2024, per un periodo di quattro anni.
Il partito Vamos del presidente guatemalteco Alejandro Giammattei sarà la forza di maggioranza in Parlamento, dopo aver conquistato 39 seggi, seguono il partito Unità nazionale della speranza (Une), guidato dalla candidata alla presidenza Sandra Torres Casanova, che ha ottenuto 28 seggi e il gruppo socialdemocratico Movimiento Semilla di Arévalo, che è passato dai sette deputati attuali a 23.
Alla vigilia del pronunciamento, si è espressa la Conferenza episcopale del Guatemala, affermando: “Il popolo guatemalteco ha risposto con il suo voto e con l’aspettativa che il calendario elettorale si concluda con successo. Chiediamo che vengano rispettati i risultati delle elezioni per il presidente e il vicepresidente della Repubblica e che il 20 agosto si tenga il secondo turno con i due candidati più votati, come ufficializzato dal Tribunale supremo elettorale nella risoluzione 1328-2023”. Nei giorni scorsi, infatti, il gruppo Semilla è stato nell’occhio del ciclone per l’accusa di aver raccolto firme false, rivolta al gruppo politico da un magistrato, peraltro molto discusso nel Paese. Una vicenda che lascia ancora margini di incertezza sui prossimi passi della politica guatemalteca.
Inoltre, i vescovi affermano che il bene comune “è il fine supremo per cui lo Stato è organizzato secondo l’articolo 1 della Costituzione della Repubblica”. E questo fine “non si raggiunge solo con il rispetto dell’ordinamento giuridico, ma anche con un senso etico e morale, da parte di tutti, ma in particolare da parte di chi detiene l’autorità, sia essa eletta o nominata. Altrimenti, l’uso immorale del sistema giuridico diventa uno strumento con cui lo Stato distrugge se stesso”.