Con quali politiche aiutare concretamente le famiglie per rilanciare la natalità? Di questo ha parlato oggi Stefano Zamagni, già presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali e docente di Economia politica all’Università di Bologna, con la relazione “Politiche economiche e natalità”, al seminario di studio “La denatalità in Italia: eziologia e politiche di intervento”, promosso dal Centro di ricerca e studi sulla salute procreativa (Cerissap) della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica.
Come prima linea di intervento strategico, l’economista ha invitato a “finirla di considerare in Italia le politiche familiari come politiche di contrasto alla povertà, mentre vanno tenute distinte. Se una famiglia è anche povera, oltre alle misure previste dalle politiche familiari di cui usufruisce, bisogna darle anche le misure di contrasto alla povertà”.
Zamagni ha, quindi, ricordato: “Secondo la metodologia della contabilità nazionale, gli operatori che producono sono le imprese, mentre i soggetti di consumo sono le famiglie: ma è sbagliato, perché ciò crea una cultura perversa. Le famiglie sono viste solo come soggetto di consumo e non come produttore di ricchezza, ma la famiglia è un soggetto produttore per eccellenza, con al primo posto i figli che sono un bene comune e non vanno considerato come un affare privato. In famiglia vengono prodotti, inoltre, beni relazionali e beni di fiducia. Bisogna caratterizzare la natalità come bene comune, come viene fatto con l’ambiente. A livello propriamente culturale bisogna considerare che la generatività riguarda l’intera comunità civile, non riguarda solo la coppia, bisogna togliere il privatismo dalla mente di tanti”.
E ancora: “Non dobbiamo più parlare di politiche per la famiglia, che identifica un approccio assistenziale, ma di politiche della famiglia, che la vede protagonista attiva. Questo vuol dire mettere in campo il principio di sussidiarietà. E serve la sussidiarietà circolare”.
Per Zamagni, infine, “serve un’armonizzazione tra generatività e carriera, tra famiglia e lavoro. Famiglia e impresa devono essere in armonia, è sbagliato il termine conciliazione che fa pensare a un conflitto tra luogo di lavoro e luogo della famiglia. Dobbiamo mettere armonia, invece, come nelle orchestre. Così come succede anche in famiglia in cui i genitori mettono armonia tra i figli. L’organizzazione oggi del lavoro – di imprese, uffici – è ancora impregnato del modello taylorista, che ha avuto un successo enorme perché ha fatto diventare gli Stati Uniti il primo Paese nel mondo con il suo modello di lavoro puntato sulla produzione. Ma non si considera che questo modello ha abbrutito il lavoro umano ed è antifemminista. Fino a che sarà dominante il modello del lavoro taylorista ci sarà poco da fare, anche se aumentiamo i posti negli asili nido e gli altri servizi, la natalità non si riprenderà. Le performance universitarie delle donne sono superiori a quelle degli uomini. E le donne, di fronte alla scelta tragica tra lavoro e figli, scelgono spesso la carriera. Il messaggio fino a una decina di anni fa era che la famiglia ha bisogno di due redditi, ma per far questo le donne non devono avere figli. Le imprese fanno di tutto per disincentivare i figli. Una donna oggi è tutelata nella maternità, nel senso che non viene espulsa dal mondo del lavoro, ma quando rientra al lavoro non trova più il posto che le sarebbe spettato ed è occupato da un uomo: la ‘colpa’ è del fatto che ha voluto un figlio”. Bisogna incentivare “il modello olocratico è quello opposto al taylorismo, perché propone l’armonizzazione tra lavoro e famiglia”.