In Italia quasi un quarto dei nati all’estero sente di appartenere a un gruppo sociale discriminato e percepisce un limitato senso di appartenenza verso l’Italia. Di contro, 4 autoctoni su dieci sono preoccupati per la cultura del Paese e le condizioni di vita, messe in discussione dalle persone provenienti da altri Paesi. È una delle principali evidenze che emerge dal Rapporto sull’integrazione dei cittadini di origine straniera pubblicato dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) insieme al ministero del Lavoro e presentato oggi nel corso del convegno “L’integrazione delle persone di origine straniera”.
“Se si osservano gli indicatori relativi all’acquisizione della cittadinanza e quello relativo all’ottenimento dei permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo – viene spiegato – si nota come nel Nord, dove maggiore è la presenza di immigrati, risultano essere più basse le acquisizioni di cittadinanza italiana, ma è maggiore, rispetto alle realtà meridionali e insulari, la quota di cittadini stranieri che hanno ottenuto un permesso di soggiorno di lungo periodo, condizionato, oltre che dal possesso quinquennale di un permesso di soggiorno, da determinati parametri reddituali e abitativi.
Nella ricerca si evidenzia inoltre come in Italia attualmente i cittadini di Paesi terzi residenti sono circa 3 milioni e 500mila, in aumento rispetto al 2021 di quasi il 6%, anche per effetto del conflitto in Ucraina. Il tasso di attività medio tra gli stranieri risulta essere leggermente più alto (64,7%) rispetto ai cittadini italiani (63,2%), con livelli più bassi al Sud e nelle Isole per tutti i gruppi osservati. Considerando la forza lavoro degli stranieri non comunitari il tasso di occupazione al Sud supera la soglia del 60%, mentre tra i comunitari e tra i cittadini italiani si attesta a poco più del 50%. Al nord si registra una situazione inversa: la quota di forze lavoro rispetto alla popolazione di riferimento è maggiore tra i cittadini italiani che tra gli stranieri. Rispetto al genere, si registra ovunque una netta prevalenza del tasso medio di attività della componente maschile (circa il 79%), rispetto a quella femminile (47%). Il tasso di disoccupazione dei cittadini stranieri, in modo analogo tra comunitari o provenienti da Paesi extra Ue, si attesta intorno al 15% ed è superiore a quello dei cittadini italiani. La quota di contratti a termine tra i lavoratori extra Ue raggiunge il 27,8% contro il 22% rilevato tra gli stranieri comunitari e il 16% tra i lavoratori di cittadinanza italiana. Aspetto peculiare dei lavoratori stranieri è l’elevata sovraqualificazione lavorativa, dove il genere pesa in modo molto diverso tra cittadini stranieri comunitari ed extra Ue: la situazione è peggiore per i maschi comunitari, mentre è nettamente a sfavore delle femmine tra i non comunitari.