“Non basta il momento elettorale o il rispetto formale dei diritti delle minoranze per definire una democrazia”. È quanto si legge nel documento preparatorio della Settimana sociale dei cattolici in Italia, in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024, a proposito di una delle parole-chiave del documento: partecipazione, “il primo indicatore della salute della democrazia”, che “rivela la giovinezza della democrazia, la condivisione di valori, la stessa identità di una comunità”. “Prima ancora di essere una forma di governo la democrazia è la forma di un desiderio profondamente umano”, si precisa nel testo diffuso oggi: “Quello di vivere insieme volentieri e non perché costretti, sperimentando la comunità come il luogo della libertà, in cui tutti sono rispettati, tutti sono custoditi, tutti sono protagonisti, tutti sono impegnati in favore degli altri. ‘Fratelli tutti’ diremmo oggi con Papa Francesco”. “Se ci guardiamo intorno vediamo che in questi anni certamente sono cambiati i modi nei quali i cittadini prendono parte alla vita civile”, l’analisi della Cei: “In molti casi si assiste ad un ritrarsi nel privato, ad una stanchezza che non lascia spazio per la vita comunitaria, ad una rinuncia alla fatica delle relazioni. Dall’altro, le forme stesse della partecipazione stanno cambiando. Non seguono più necessariamente quelle del secolo scorso, non sempre procedono dall’alto attraverso la mobilitazione di corpi intermedi e forme associative (dai partiti al sindacato, dalle cooperative alle associazioni di volontariato) ma hanno spesso forma più libera e fluida. Bisogna avere occhi nuovi per leggere nel cuore della democrazia”. “La partecipazione è il motore che tiene in movimento le società, che formula le domande e suscita le risposte organizzate, che produce nuovo pensiero e nuove visioni del mondo”, la definizione contenuta nel documento: “È energia civile che rende vive le comunità locali, protagoniste del loro futuro, capaci di progettare politiche, azioni, risposte collettive. Non può esistere una democrazia che non abbia in sé questa tensione vitale, questa spinta al cambiamento, anche un certo conflitto positivo che non lascia in pace le persone e le sfida a trovare insieme le soluzioni di cui hanno bisogno”. La partecipazione, inoltre, “non attiene solo al campo del fare, delle buone pratiche, alle azioni concrete, ma coinvolge anche la dimensione culturale e spirituale, la capacità di pensiero e di parola, la creatività e l’immaginazione. Ha a che fare con il sentirsi parte, con il movimento generativo delle nostre comunità. Certamente riguarda anche la dimensione politica, in senso più lato, il senso di appartenenza ad una polis, ad una comunità di prossimi, ma anche in senso stretto, le forme di governo e di gestione della res publica. Partecipazione è sempre un campo di azione plurale, collettivo, comunitario, vitale, generativo, espressione di un ‘noi comunitario’. È un campo accessibile, dove nessuno deve sentirsi escluso dalla possibilità di incidere nei processi cruciali per la difesa e la promozione del bene comune; dove nessuno può chiamarsi fuori dalle responsabilità condivise, ma deve poter mettere in gioco i suoi talenti per il bene del suo quartiere, della sua città, del suo paese”.