“Al primo posto nel nostro cuore, è la sorte della piccola Kataleya scomparsa ormai da molti giorni e di cui attendiamo il ritorno alla sua famiglia e a tutti noi”. Lo ha detto il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, aprendo a Montesenario l’Assemblea del clero fiorentino. ”Dal momento della scomparsa ho chiesto che dalle nostre comunità si innalzassero preghiere al Signore”, ha proseguito il cardinale rinnovando tale richiesta: “Nella preghiera uniamo anche tutti i bambini del mondo minacciati nella loro vita e nella loro dignitosa esistenza, a causa di guerre, migrazioni, condizioni di povertà materiale ed educativa, fame, abbandono”. “Il futuro della nostra vita ecclesiale non potrà più fare a meno di assumere la prassi dell’ascolto comunitario come la forma con cui vivere le diverse dimensioni e azioni della pastorale”, il riferimento alla prima fase del Sinodo: “L’esperienza dell’ascolto reciproco non sta alle nostre spalle, come un esercizio limitato a un biennio, ma sta di fronte a noi, come il volto della Chiesa del futuro. Sarà lo strumento che ci permetterà di vivere una Chiesa meno clericale, meno di pochi addetti ai lavori, meno legata al si è sempre fatto così”. “Individuare gli ambiti che riteniamo più significativi per il rinnovamento della Chiesa nel nostro Paese”, la consegna per la seconda fase sinodale, che partirà a settembre e sarà dedicata al discernimento. “Invito tutti a coinvolgersi e a dare il proprio contributo”, l’appello del cardinale: “Nessuna comunità, parrocchiale o aggregativa, si senta esonerata”. Altro impegno da prendere in carico, la preparazione al Giubileo del 2025. “Ben oltre 900 giovani fiorentini partiranno per Lisbona, dove all’inizio di agosto si terrà la 37.a Giornata Mondiale della Gioventù”, ha annunciato inoltre il porporato: “A me, a noi che siamo soliti lamentare l’assenza di giovani dalla vita ecclesiale, questo numero suona come un appello: non è vero che i giovani, che tutti i giovani siano lontani dalla ricerca di un’esperienza che li ponga a confronto con Cristo; anche se non ne conosciamo le motivazioni più profonde, ci sono giovani che sono pronti a rispondere a una chiamata. Il problema, dobbiamo confessarlo, non sono i giovani, ma siamo noi adulti, noi comunità cristiane, anche noi preti, che non dobbiamo pensare che non ci sia un modo per dialogare con loro, per proporre qualcosa che li interessi, per coinvolgerli in qualcosa che abbia per loro significato. La responsabilità è nostra”.