Arabia Saudita: Amnesty International, “sette minorenni al momento del reato a rischio di esecuzione, nonostante le annunciate riforme”

“Nonostante l’asserito impegno delle autorità saudite a non usare più la pena di morte nei confronti di minorenni al momento del reato”, Amnesty International ha reso noto che “sette giovani rischiano l’imminente impiccagione dopo che una corte d’appello ha confermato la loro condanna. La loro esecuzione segnerebbe una drammatica escalation nell’uso della pena di morte in Arabia Saudita, dopo che, solo negli ultimi tre anni, le condanne a morte eseguite si sono settuplicate”.
I sette condannati a morte avevano meno di 18 anni, uno addirittura 12, al momento del loro presunto reato. Durante la detenzione preventiva è stato negato loro il diritto a essere rappresentati da avvocati. Le sentenze sono state confermate in appello tra marzo 2022 e marzo 2023. Sei di loro, appartenenti alla discriminata minoranza sciita, sono stati giudicati colpevoli di reati di terrorismo quali aver preso parte a manifestazioni contro il governo o a funerali di persone uccise dalle forze di sicurezza; il settimo, di rapina a mano armata e omicidio. Si tratta di reati contro la persona appartenenti alla categoria “tazir”, per i quali la legge islamica non stabilisce una pena, la cui determinazione è a discrezione del giudice. I processi sono risultati irregolari e basati su confessioni estorte con la tortura.
Yousef al-Manasif è stato condannato a morte dal Tribunale penale speciale – che si occupa di casi di terrorismo – nel novembre 2022. Nel verdetto, si legge che è stato giudicato colpevole di “aver cercato di disgregare il tessuto sociale e la coesione nazionale” e “aver partecipato e incitato a partecipare a manifestazioni e sit-in che disgregano il tessuto sociale e la coesione nazionale”. Per sei mesi dopo l’arresto è stato tenuto in isolamento senza poter vedere i familiari.
Abdullah al-Darazi è stato condannato, tra l’altro, per “aver preso parte a disordini ad al-Qatif, cantato slogan contro lo Stato e causato caos” e per “aver attaccato agenti della sicurezza con bombe molotov”. È rimasto in carcere in attesa del processo per tre anni, senza poter incontrare un avvocato. Invano, durante il processo, ha chiesto un esame medico indipendente sulle torture che aveva denunciato di aver subito.
L’Arabia Saudita è ai primi posti al mondo per numero di esecuzioni. Nel 2022 sono state eseguite 196 condanne a morte, il più alto numero degli ultimi 30 anni, tre volte maggiore di quello del 2021 e sette volte maggiore di quello del 2020. Finora, nel 2023, sono state eseguite 54 condanne a morte per omicidio, spaccio di droga e reati di terrorismo.
Nel 2018 è entrata in vigore la “Legge sui giovani”, che stabilisce una pena massima di 10 anni per chiunque sia stato condannato per un reato “tazir” commesso quando aveva meno di 18 anni. Nel maggio 2023, in una lettera ad Amnesty International, la Commissione saudita per i diritti umani aveva confermato che “l’applicazione della pena di morte nei confronti dei minorenni per reati ‘tazir’ è stata completamente annullata”.

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