“Foggia avverte dolorosamente l’avvilimento della paura, della fragilità, della diffidenza e persino odio che hanno preso forma tra la nostra gente e si esprimono nei social network, inquinando il senso etico del nostro popolo. Gli uomini e le donne del nostro territorio sono spesso demoralizzati e disorientati, senza visione. Dobbiamo perciò reagire agli spiriti negativi che fomentano la divisione, l’indifferenza, l’ostilità. Dobbiamo farlo non soltanto per noi, ma per tutti. E bisogna farlo subito, prima che sia troppo tardi, anche perché la democrazia non è mai una conquista definitiva”. Il monito è dell’arcivescovo di Foggia, mons. Vincenzo Pelvi, e contenuto nel suo messaggio “Giovani seminatori di legalità” pervenuto al Sir, e preparato per il “Patto provinciale della legalità” stipulato in accordo con la Prefettura di Foggia. Chiave di volta è la buona politica, quella “amica delle persone, inclusiva, che non lascia ai margini nessuno, ma tiene il timone fisso nella direzione del bene di tutti”. Di qui, scrive mons. Pelvi, “l’impegno di un elettorato attivo e partecipativo che non può sperare il proprio avvenire dal piccolo grande privilegio, dall’eccezione, dalla propria singola, particolare condizione di favore. Forte della debolezza della politica, sempre più spesso Foggia sembra non voler riconoscere più alcun potere di direzione alla politica stessa, ma di cercarne solo l’appoggio necessario per la sua sopravvivenza spicciola. E domani capiti quel che può capitare. La politica si muove in questa ricerca con consumata spregiudicatezza, tanto a destra come a sinistra, utilizzando tutto per i propri interessi. In città non sembra più ormai possibile fare nulla, cambiare nulla, perché c’è sempre qualcuno dotato di un potere di interdizione che dice di no”. Ne consegue l’appello a lavorare insieme per il bene comune: “Tutti, giovani e adulti, siamo cittadini e abbiamo una vocazione al servizio del bene comune. Orizzonte e fine di questa vocazione è la buona politica. Abbiamo bisogno di uno spazio libero da parole cattive e dalla tecnica della chiusura e della derisione dell’avversario. Serve, infatti, un nuovo modo di intendere l’impegno politico con la capacità di creare un protagonismo diffuso a partire dalle realtà sociali più dinamiche e positive, all’interno delle quali il mondo cattolico è spesso tra le componenti più vitali”. “L’impegno concreto e responsabile in politica – ricorda l’arcivescovo – non è potere, ma servizio di chi non si lascia corrompere e che accetta quasi un martirio quotidiano per cucire reti d’incontro e solidarietà. Torniamo alla politica della verità – che si costruisce dal basso senza fretta e con pazienza – e non perdiamo la speranza, recuperando il bene comune dei cittadini. Anche perché – conclude – la politica non è un incontro tra uguali, ma la convivenza e la comprensione tra persone diverse, che possono raggiungere obiettivi comuni. La Chiesa è comunità di fede, ma anche soggetto sociale sul territorio che non sta alla finestra a guardare ma è presente perché assieme si superi ogni forma di organizzazione malavitosa”.