Un lungo elenco, letto lentamente e a voce alta, dei nomi di quelle che sono definite “vittime dello sterminio di mafia” e poi quelle che si possono essere considerate “le coordinate della consapevolezza”. Da Agrigento, facendo memoria dei 30 anni dal grido di Giovanni Paolo II contro la mafia e per la conversione dei criminali, Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, ha offerto ieri una lettura dell’evoluzione del fenomeno mafioso e della presa di coscienza della società, da “quando la mafia non sfidava lo Stato e la politica” a quando, “tra il 77 e l’83, ha applicato la strategia del terrore”. L’occasione dell’intervento è data da una conversazione voluta dall’Arcidiocesi di Agrigento che, ricordando il 9 maggio del ‘93, si è chiesta come sia mutata la mafia e quale sentiero ha percorso la Chiesa da quel giorno. A rispondere, insieme con Pignatone, il presidente della Conferenza episcopale siciliana e vescovo di Acireale mons. Antonio Raspanti e il magistrato Caterina Chinnici, deputato europeo e figlia di Rocco Chinnici, vittima di mafia. Pignatone ha detto di “una intercettazione poco conosciuta ma che dà la misura dell’incidenza del discorso di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi”: “erano trascorsi 12 anni, il papa era appena morto e si celebravano i suoi funerali trasmessi anche dai mezzi di comunicazione. Ricordiamo tutti la bara, il Vangelo sfogliato dal vento. A guardare la tv – dice il presidente del Tribunale di Stato vaticano – ci sono anche i fedelissimi di Bernardo Provenzano. La polizia li ascolta quando parlano della ‘sbraciata’ che ha fatto quando è venuto ad Agrigento ritenuta pesante per i siciliani in generale. Era una condanna ufficiale della presa di posizione del pontefice e della Chiesa – aggiunge – perché rompeva anni di equilibri e reciproca sopportazione”. Accanto all’evoluzione del fenomeno e alla presa di coscienza anche “l’esigenza ancora attuale di unire alle parole i fatti, e di farlo insieme, in maniera sistemica e sistematica”. A farsene portavoce mons. Alessandro Damiano, arcivescovo di Agrigento. “Mi è stato affidato il compito di trarre le conclusioni, ma non c’è alcuna conclusione possibile, solo cammini da continuare. Certo è ben avviato – ha detto -, ma non dobbiamo cedere alla tentazione di fermarci perché, come ha detto Giovanni Paolo II salutando Agrigento 30 anni fa, occorre avanzare insieme per un futuro più giusto e più sereno. Insieme”. E ancora, collegandosi al giorno, oggi, in cui ricorre l’anniversario della beatificazione del giudice martire Rosario Livatino e facendo proprio il messaggio dei vescovi di Sicilia per quella occasione, ha detto: “In 30 anni molte cose sono cambiate, ma non abbastanza: è finito il clamore, ma ci sono altre forme, meno appariscenti e perciò più pericolose, alle quali dobbiamo rispondere con sempre nuovi passi comuni”.