Corte di giustizia Ue: avvocato generale, un ente pubblico può vietare ai dipendenti di indossare qualsiasi segno di convinzioni politiche, religiose o filosofiche sul luogo di lavoro

Secondo l’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Anthony Collins, un ente pubblico può, a determinate condizioni, vietare ai propri dipendenti di indossare qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, religiose o filosofiche sul luogo di lavoro. Applicata in modo generale e indifferenziato, tale regola può essere giustificata dalla volontà di un Comune di organizzare un ambiente amministrativo totalmente neutro. È quanto si legge in una nota diffusa oggi dalla Corte del Lussemburgo. Va peraltro subito precisato che le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa. La sentenza sarà pronunciata in una data successiva.
La causa cui si riferisce l’avvocato generale riguarda il Comune belga di Ans che, con due decisioni individuali, a una dipendente è stato vietato di indossare il velo islamico sul posto di lavoro. In tale contesto, il Comune ha successivamente modificato il proprio regolamento di lavoro, imponendo da quel momento ai propri dipendenti di rispettare una rigorosa neutralità, “vietando qualsiasi forma di proselitismo e bandendo l’uso di segni vistosi di appartenenza ideologica o religiosa”. La dipendente ha fatto ricorso, ritenendo che, così facendo, il Comune violi la sua libertà di religione. Sulla vicenda si era espresso anche il Tribunale del lavoro di Liegi (Belgio).
Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Anthony Collins constata che il regolamento di lavoro del Comune di Ans rientra chiaramente nell’ambito di applicazione della direttiva europea (2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro), “in quanto questa riguarda sia il settore pubblico che il settore privato, e che un divieto come quello in questione rientra nell’ambito ‘dell’occupazione e [delle] condizioni di lavoro’ ai sensi di tale direttiva”.
A suo avviso, il quadro generale stabilito dalla direttiva lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri, che è tanto più ampio quando sono in gioco principi che possono riguardare la loro identità nazionale. “Il fatto di prevedere restrizioni alla libertà dei dipendenti pubblici di manifestare le proprie convinzioni politiche, filosofiche o religiose nell’esercizio delle loro funzioni può essere di tale importanza in alcuni Stati membri da rientrare nell’identità nazionale insita nelle loro strutture fondamentali, politiche e costituzionali”.
L’avvocato generale Collins ritiene dunque “che il regolamento di lavoro di un ente pubblico che, al fine di organizzare un ambiente amministrativo totalmente neutro, vieta ai suoi dipendenti di indossare qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, religiose o filosofiche sul luogo di lavoro non costituisca una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, ai sensi della direttiva, ove tale divieto sia applicato in maniera generale e indiscriminata”.

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