“Don Milani non può essere ridotto a banale politically correct, facile esortazione o denuncia. Ferisce, perché svela le parole vuote, la retorica che copre l’inedia e chiama questa per nome, senza sconti. Come disse don Bensi, don Milani è ‘un diamante che doveva ferirsi e ferire’. Egli ci mette di fronte alle nostre responsabilità di ruolo e di paternità, ci chiede di farci carico di chi è più fragile e non di fornirgli istruzioni per l’uso senza aiutarlo, sistema che fa sentire a posto chi può sempre dire ‘io lo avevo detto’ ma senza che si sia mai dato da fare per aiutare”. Lo ha detto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, intervenendo alla giornata inaugurale del Centenario Don Milani a Barbiana. “Don Milani ci costringe a sporcarci di fango, di vita vera, perché non si lascia certo ridurre a oggetto da salotto senza cambiare il salotto o senza uscirne, proprio come aveva fatto lui, borghese, colto, che scelse di imparare diventando maestro e alunno dei poveri, stando dalla parte dei poveri per trovare la propria parte, profeta intransigente di cambiamento, obbedientissimo e per questo libero prete della sua Chiesa senza la quale non voleva vivere”, ha aggiungo il card. Zuppi: “Ecco la lezione di don Milani, per tutti, credenti e non, prete e cittadino italiano: per cambiare le cose non serve innamorarsi delle proprie idee, ma bisogna mettersi nelle scarpe dei ragazzi di allora e di oggi, degli universali Gianni e non darsi pace finché non siano strappati da un destino già segnato”.