“Il Pnrr da solo non basterà a colmare i divari. Anzi, il rischio enorme è che si amplino ulteriormente”. Lo afferma Carmelo Petraglia, professore associato di Economia politica all’Università della Basilicata e consigliere scientifico della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), in un’intervista al Sir sull’impatto che il Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrebbe avere sul Sud d’Italia e sui rischi che potrebbero concretizzarsi di una mancata diminuzione dei divari con il Nord del Paese.
“Ci sono diversi segnali che il Pnrr, da solo, non sarà in grado di correggere gli squilibri tra Nord e Sud, per limiti originari di impostazione e problemi di attuazione emersi in corsa”, spiega il docente, secondo cui “per avvicinare il Sud al Nord serve ampliare e ammodernare la base produttiva meridionale”. Mentre, per quanto riguarda i diritti di cittadinanza, “nel caso dell’istruzione, la Svimez ha mostrato che la quota Sud del 40% non basta a migliorare i servizi e le infrastrutture nei territori dove mancano gli asili nido, le scuole sono meno sicure e i tassi di abbandono scolastico più elevati”.
“Il Pnrr ha ereditato il limite storico della politica nazionale di perequazione infrastrutturale”, osserva Petraglia, aggiungendo che il Piano “si è poi scontrato con i limiti strutturali della nostra macchina amministrativa”. Per questo, “il Pnrr va accompagnato, abbiamo altre risorse. Serve complementarietà, per questo abbiamo proposto di ragionare su tutte le programmazioni – politica ordinaria, Fondi strutturali, le risorse nazionali per investimenti del Fondo Sviluppo e coesione – fino a creare un coordinamento effettivo”. Il consigliere scientifico della Svimez mette in guardia: “Dirottare le risorse verso Nord vorrebbe dire rinunciare alla finalità di coesione del Pnrr”. E avverte: nella fase di attuazione “a trovarsi più in difficoltà saranno i Comuni meno attrezzati di risorse umane e finanziarie; è necessario rafforzarli in termini di organici e accompagnarli con una forte azione dal centro mobilitando centri di competenza e task force nazionali”. “Per ridurre i divari c’è bisogno di forti politiche generali, che hanno bisogno di una guida centrale, di una regia complessiva nazionale. L’autonomia differenziata – conclude – va in direzione opposta”.