La segreteria generale della Conferenza episcopale boliviana, in una nota diffusa ieri, precisa che la presenza di mons. Jordi Bertomeu, officiale del dicastero per la Dottrina della fede, che negli ultimi anni ha seguito a nome del Vaticano varie vicende legate ad abusi nella Chiesa, è stata chiesta esplicitamente dalla Conferenza episcopale boliviana. Una precisazione legata alle notizie emerse sull’arrivo nel Paese di “una Commissione del Vaticano”. La visita, si legge, è stata auspicata da tre anni ed è stata chiesta “per analizzare insieme i progressi realizzati finora nella linea della cultura della prevenzione, chiesta da Papa Francesco”, in un clima di “profonda vicinanza a loro che sono stati vittime della piaga degli abusi nella Chiesa”. La precisazione avviene in un clima di tensione e per certi aspetti strumentalizzazione, rispetto all’emergere di alcuni casi, decisamente gravi ma datati, di ripetuti abusi, che hanno coinvolto ecclesiastici, come per esempio quelli che hanno coinvolto il sacerdote gesuita spagnolo Alfonso Pedrajas, ora deceduto. La vicenda, rispetto alla quale la Chiesa boliviana e la Compagnia di Gesù hanno ribadito la linea della “tolleranza zero”, ha però rappresentato un’ulteriore tappa degli attacchi del potere politico e giudiziario alla Chiesa cattolica. Venerdì scorso, il Consiglio boliviano dei laici ha diffuso una nota, nella quale si chiede che “la legge venga applicata con trasparenza e rapidità e i processi non vengano ritardati per essere usati come cortina fumogena per coprire altri problemi importanti che dobbiamo affrontare nel nostro Paese”. La dichiarazione invita l’intero Paese a respingere “le accuse infondate e le aggressioni contro la Chiesa cattolica” da parte di gruppi che non professano la fede cattolica o sono guidati da ideologie, ricordando che “i crimini devono essere affrontati su base individuale, senza giudicare le istituzioni o le opere della Chiesa nel suo complesso”.