Oggi, durante il convegno organizzato dall’Italian Obstetric Surveillance System (Itoss), sono stati presentati i dati di uno studio internazionale coordinato da all’International Network of Obstetric Survey System (Inoss) – che da quest’anno sarà presieduto dall’Italia – in 8 Paesi europei durante i primi 10 mesi della pandemia da Covid-19. L’incidenza di ospedalizzazione per Covid-19 è risultata pari a 0,77 per 1.000 gravidanze, con un range compreso tra nessuna ospedalizzazione in Islanda a 1,9/1.000 nel Regno Unito (0,88/1.000 in Italia). Un risultato originale dello studio riguarda l’impatto che le diverse misure di contenimento della circolazione del virus adottate nei Paesi partecipanti sembrano aver avuto sul rischio di ricovero per Covid in gravidanza. I Paesi che hanno applicato misure più rigide, come l’Italia, hanno registrato minori esiti negativi in gravidanza rispetto a quanto accaduto in contesti come quello svedese, in cui sono state adottate misure meno restrittive per la popolazione. L’Italia ha potuto contribuire a questo progetto grazie allo studio prospettico nazionale coordinato da Itoss sin dai primi giorni di diffusione del Sars-CoV-2 nel Paese. Sono state arruolate oltre 11.000 donne in gravidanza positive al virus che si sono rivolte ai presidi sanitari e, durante il convegno, sono stati presentati i dati relativi alla qualità dell’assistenza offerta alla nascita. Specie nel Sud del Paese, molte di loro hanno dovuto rinunciare ad avere una persona di fiducia in sala parto (in Italia, in media, solo il 37,5% delle donne ha avuto questa opportunità) e sono state separate dai propri bambini alla nascita, spesso senza poter praticare il contatto pelle a pelle. In media, l’81,1% dei bambini nati da parti vaginali e il 56,4% di quelli nati con cesareo ha potuto condividere la stanza con la mamma durante il ricovero; l’88,0% dei nati per via vaginale e il 71,9% di quelli nati con cesareo è stato alimentato con latte materno. Il progetto Itoss ha previsto anche la raccolta di campioni biologici delle donne con test positivo in gravidanza, permettendo lo studio della trasmissione materno-fetale del virus e la risposta anticorpale materna all’infezione da Sars-CoV-2. La trasmissione del virus al feto in gravidanza è stata confermata come un evento eccezionale, mentre la presenza di anticorpi è stata riscontrata nel 45,2% dei campioni di sangue prelevati da oltre 400 mamme durante la gravidanza e nel 39,7% di quelli prelevati da oltre 500 mamme al momento del parto. I dati raccolti tra gennaio e maggio 2022, durante la circolazione della variante Omicron, hanno permesso di rilevare anche lo stato vaccinale delle donne arruolate nel progetto. Tra le donne per le quali tale informazione era disponibile, il 55,0% aveva ricevuto almeno una dose di vaccino, condizione più frequente tra le meno giovani e le più istruite. In linea con la letteratura internazionale, le donne vaccinate rispetto alle non vaccinate hanno avuto una riduzione significativa sia dei sintomi da infezione da Sars-CoV-2 che della frequenza di polmonite e malattia grave da Covid-19.