Come è noto, l’11 maggio scorso ha terminato la sua vigenza il Titolo 42, legge di salute pubblica promulgata dal Governo statunitense, utilizzata durante la pandemia per respingere tutti i migranti, compresi coloro che avevano diritto alla protezione internazionale. La rete ecclesiale continentale Clamor, l’organismo attraverso il quale la Chiesa latinoamericana si occupa di migranti, rifugiati e vittime di tratta, esprime, in una nota, il timore che dopo la fine di questa legge “lo Stato americano attuerà altre misure per frenare la pressione migratoria”, cosa che in realtà sta già accadendo. A questo proposito, Elvy Monzant, segretario esecutivo di Clamor, avverte che “tra le nuove misure si sta valutando il Titolo 8. Questa norma prevede l’arresto, il perseguimento e l’eventuale espulsione accelerata di chi tenta di entrare illegalmente, con un divieto di rientro negli Stati Uniti per cinque anni e un procedimento penale per i recidivi”. Oltre a questa possibilità, la SB 1718, approvata dallo Stato della Florida il 10 maggio 2023, vieta agli immigrati privi di documenti di lavorare, il che “innescherà reti di traffico e sfruttamento”. Monzant sottolinea che questa legge, già firmata dal governatore della Florida, Ron DeSantis, “è penalizzante rispetto alle quattro parole di Papa Francesco: l’accoglienza, la protezione, la promozione e l’integrazione dei migranti in situazioni legali incerte”. Intanto, denuncia il segretario esecutivo dal sito del Celam, “il volume di persone provenienti dall’America Latina, dai Caraibi e da altri continenti che cercano di entrare negli Stati Uniti in cerca di protezione e di opportunità per una vita dignitosa sta superando le capacità degli agenti indipendenti e dei programmi di aiuto umanitario dello Stato”. Da qui, l’invito ad analizzare “le cause di queste crisi ed emergenze, che sono molto complesse e richiedono un impegno politico per stabilire ampi dialoghi e azioni incisive per garantire alle persone condizioni di vita, protezione e libertà, affinché possano esercitare con dignità sia il loro diritto a non migrare sia il loro diritto a migrare”.