“Papa Francesco nella Fratelli tutti usa due espressioni fondamentali che voglio citare. La prima è: ‘Sempre meno si chiama un uomo col suo nome proprio, sempre meno si tratterà come persona questo essere unico al mondo’. Io ho la sensazione che nelle nostre comunità abbiamo perso l’umiltà nella relazione, ho la sensazione che dispensiamo ricette, qualunque sia la nostra professionalità, medico, psicologo, educatore. Abbiamo dimenticato l’importanza terapeutica e educativa dell’ascolto silenzioso, che impone l’umiltà nella relazione, che non è un livellare i ruoli, è un riconoscere la dignità dell’altro”. Lo ha detto, stamattina, Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), durante la sessione “Dipendenze: la centralità dell’ascolto nella relazione di cura”, promosso dalla Fict e dalla Comunità terapeutica “Lorusso Cipparoli”, nell’ambito del XXIV Convegno nazionale di pastorale della salute, in corso a Bari fino al 18 maggio.
Il presidente della Fict ha, quindi, richiamato la seconda espressione di papa Francesco nella Fratelli tutti che è calzante per l’approccio da avere nella relazione di cura per chi ha dipendenze: “Nella prossimità con l’altro, con ogni altro, si completa la nostra dignità umana”. “È un concetto di prossimità – ha riflettuto Squillaci – che sovverte il nostro tradizionale concetto di prossimità e in particolare nel sistema di cura riconoscere che nella prossimità con l’altro si completa la mia dignità significa uscire da un rapporto meramente ‘contrattuale’ tra l’incluso che assiste e l’escluso, che viene assistito, che è una logica meramente prestazionale dei nostri servizi, dove il primo può limitarsi a vivere l’altro come soggetto da assistere, ma che impone di mettere in gioco sé stessi, in quanto persone, non per il ruolo assegnato, nella costruzione di una relazione dove si è protagonisti alla pari”.
La “vera emergenza” è “uscire la logica che non mette al centro la persona, ma il problema di cui la persona è portatrice”. Di qui l’appello da parte del presidente della Fict ad assumere “un approccio che sia effettivamente centrato sulla persona, non solo formalmente dichiarato, e che non sia generico e massificante, solo così si giunge infatti a conclusioni ben differenti: la dipendenza non è compagna di vita di quella persona da sempre e l’evoluzione, per quanto rapida, si può prevenire e curare”.
Squillaci ha concluso con l’invito ad affrontare una “nuova vera sfida” e a correre “il rischio della speranza nell’ambito delle dipendenze. La speranza che può essere attuata solo nella relazione con l’altro ed infine dobbiamo imparare non solo a dirlo… ma anche ad agirlo”.