Viviamo un’epoca contraddistinta dall’accelerazione che influenza ogni settore, anche quello educativo. Su questo tema è intervenuto Juan Carlos De Martin, ordinario di ingegneria informatica e co-direttore del Centro Nexa su Internet e Società nonchè vice rettore per la cultura e la comunicazione del Politecnico di Torino, durante il seminario intitolato “Quale educazione nei nuovi scenari culturali digitali?”, questa mattina a Torino. “Non abbiamo messo bene a fuoco e tratto le conseguenze – sostiene – che dal 1945 sono avvenuti cambiamenti che hanno mutato la società. Gli abitanti della città sono passati da 700 milioni a 3,5 miliardi. L’inquinamento è aumentato tantissimo, al punto che si stima che l’80% di chi vive in città respiri aria insalubre e questa percentuale sale al 96% nei paesi poveri”. Da questa grande accelerazione discendono sei crisi, come ricorda il docente: la sofferenza del Pianeta, la sfida democratica, economica, tecnologica, geopolitica e contro il declino del nostro Paese. “La tecnologia – spiega – dovrebbe essere orientata a fini umani e sociali. L’università dovrebbe esplorare gli usi con discernimento, capire quando e come usare la tecnologia, sapendo che il rapporto educativo è sempre interpersonale e si sviluppa per lo più in presenza”. È fondamentale che l’università dia gli strumenti per comprendere il fascio di tecnologie digitali che vive una grande accelerazione”. Basti pensare come stia avvenendo una “computerizzazione del mondo, visto che sono sempre più piccoli e collocati ovunque. Occorre chiederci quali sono i fini e i limiti perché si può ancora dire che certe cose non possono essere fatte”. Il docente non si dichiara contrario alla “tecnologia ma in favore dell’umanità”. “L’università – conclude – dovrebbe fare i conti con la grande accelerazione, interrogare il fenomeno perché in linea di principio si può guidare. Abbiamo bisogno di coltivare l’immaginazione di come vivere insieme il rapporto con la natura e immaginare che un diverso uso della tecnologia per fini migliori”.