Dalle 11 di oggi e fino alle 18 di domani, nell’ambito del calendario di iniziative nel trentesimo anniversario dell’uccisione per mano mafiosa del beato Giuseppe Puglisi, (15 settembre 1993), la Questura di Palermo ospiterà la reliquia del Beato il cui martirio “in odium fidei” è stato riconosciuto dalla Chiesa cattolica il 25 maggio del 2013.
Il frammento sacro, offerto dall’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, è stato esposto, presso il chiostro della Questura, nel corso di una cerimonia a cui hanno presenziato autorità civili, militari ne diverse scolaresche cittadine. La cerimonia ha visto l’intervento del Questore di Palermo, Leopoldo Laricchia, dell’arcivescovo e del Cappellano della Polizia di Stato, don Massimiliano Purpura. “Questa reliquia – ha sottolineato il presule – ricorda a tutti che abbiamo la corresponsabilità della costruzione della città umana. Credo che in questo luogo, così come in tutte le questure della Sicilia, possa svilupparsi ulteriormente il messaggio che tutti dobbiamo impegnarci; certo, i martiri della giustizia e della fede come Pino Puglisi lo hanno fatto con l’effusione del sangue ma tutti, ferialmente, ci dobbiamo impegnare a far sì che le nostre città siano liberate dal male che si struttura, come ad esempio quello della mafia. L’esempio del Beato Puglisi ci ricorda infine che dobbiamo essere tutti – semplici cittadini e rappresentanti delle istituzioni – sempre dalla parte dei più fragili: sono proprio a martiri a ricordarci questo impegno”.
Per il questore di Palermo Leopoldo Laricchia, “questa iniziativa, che coinvolge tutte le Questure dell’Isola, è intesa a mantenere vivo il ricordo del parroco di Brancaccio che, in una terra dilaniata dalla guerra delle cosche mafiose allo Stato, era riuscito a fare breccia nelle coscienze dei tanti giovani del quartiere strappandoli alla strada, alla malavita e finanche ad un destino che per molti sembrava già scritto”. “Promuovendo molteplici iniziative rivolte ai giovani del quartiere e fornendo loro luoghi di incontro, di studio, di gioco, era riuscito ad instillare – ha proseguito il questore – i valori sacri della fratellanza e di rispetto della legalità che gli valsero l’ostilità dei boss mafiosi”.