“Nel 2012 l’esplosione di un ordigno piazzato dai guerriglieri mi devastò una gamba. Le schegge mi provocarono decine di ferite sul corpo. Di quel momento ricordo le urla della gente e sangue ovunque. Ma ciò che più mi terrorizzò fu vedere la mia bimba di 7 mesi, coperta di sangue, con molti pezzi di vetro conficcati nel suo visino”. A raccontarlo, nella quarta stazione, è una madre del Sud America: “Io, vittima di quella violenza insensata, all’inizio provai rabbia e risentimento, ma poi scoprii che se diffondevo odio creavo ancora più violenza. Capii che dentro di me e attorno a me c’erano ferite più profonde di quelle del corpo. Compresi che tante vittime avevano bisogno di scoprire, come me e attraverso di me, che non era finita neanche per loro e che non si può vivere di risentimento. Così cominciai ad aiutarle: ho studiato per insegnare a prevenire gli incidenti dovuti ai milioni di mine disseminate nel nostro territorio. Ringrazio Gesù e sua Madre per aver scoperto che asciugare le lacrime degli altri non è tempo perso, ma la migliore medicina per curare sé stessi”.