“Il Servo sofferente, umiliato e reietto dagli uomini (…) continua ad essere rifiutato, continua ad essere ignorato, soprattutto continua ad essere ucciso. Sì, perché il peccato dell’umanità continua oggi a rifiutare, perseguitare, tentare di uccidere il Cristo. Cristo, però, morto una volta per sempre, non muore più, non può morire. La sua morte è stata la vittoria definitiva sul peccato, anche se noi uomini nella storia continuiamo a sentire il peso del peccato, anche se noi continuiamo a commettere il peccato”. Lo ha affermato questa sera l’arcivescovo di Lecce, mons. Michele Seccia, nell’omelia dell’Azione liturgica del Venerdì Santo che ha presieduto in cattedrale.
Nella sua riflessione il presule ha approfondito il “mistero della Passione e Morte di Cristo”. “Dov’è quel mistero che, contemplato in Cristo, diventa anche in noi un mistero?”, ha domandato. “Tutto qui: contemplato in Cristo, è il mistero dell’iniquità degli uomini che rifiutano la salvezza; ma è anche il mistero della potenza di Dio, vittorioso sulla morte e sul peccato. Mediante la Resurrezione di Gesù, è il dono dello Spirito dalla stessa croce”. “Si tratta di qualcosa d’inspiegabile – ha spiegato –, qualcosa di vero che noi vorremmo cercare di capire, ma che non riusciamo a comprendere. Non è forse quello che noi sperimentiamo ogni volta che, commettendo il peccato, ci rendiamo conto che non avremmo voluto commetterlo? Ci rendiamo conto che quello che abbiamo fatto va al di là di ciò che noi volevamo e che ci eravamo riproposti di fare? La cattiveria, l’indifferenza, la superficialità emergono dalla nostra vita e dalle nostre azioni molto più frequentemente di quanto noi vorremmo”. “A volte – ha proseguito – non sappiamo nemmeno spiegarci il perché. È il mistero dell’iniquità che si affaccia, che viene fuori e che è incomprensibile, eppure è vero, è reale. Tuttavia, accanto a tutto questo male, ecco la certezza della misericordia, il mistero della Redenzione: il peccato è perdonato! Il male è sconfitto!”. “Di qui – ha aggiunto – trae origine una spinta per noi peccatori ad andare oltre il peccato, a non lasciarci schiacciare dal male, perché Cristo ha vinto e ci ha liberati e ci ha offerto la possibilità di essere ancora liberi da questa schiavitù, a condizione che ci affidiamo a Lui”. L’arcivescovo ha esortato: “Portiamoci anche noi sul Golgota, ai piedi della croce, insieme con Maria, con Giovanni e anche noi, lì, ascoltiamo quelle parole: parole di consolazione, parole di speranza, parole di perdono, parole di fiducia”. E ancora: “Dobbiamo sostare in silenzio, perché molto poco riescono ad esprimere le nostre parole. È ben diversa, ben più grande, ben più alta e profonda la realtà che Dio ci invita a vivere”. “La celebrazione del mistero della Passione di Cristo è per noi, allora, motivo di una nuova speranza”, ha continuato mons. Seccia, ammonendo: “Dobbiamo sperare, perché il Signore è morto per noi. Dobbiamo sperare, perché le porte del Paradiso si sono riaperte. Dobbiamo sperare, perché il Cristo viene a prenderci per mano per ricondurci alla gioia, alla gioia della Famiglia di Dio, alla gioia della Chiesa”. “Cerchiamo, non solo durante la serata, ma anche durante la giornata di domani, giornata di grande silenzio per la Chiesa che veglia e sosta al sepolcro di Cristo, cerchiamo di conservare questo clima d’interiore raccoglimento e di preghiera, perché lo Spirito c’illumini e ci aiuti a penetrare sempre più profondamente questo grande annunzio che il Dio dell’amore e della speranza ci rivela: la morte è per la vita; la croce è per la risurrezione”, l’invito conclusivo dell’arcivescovo.