Passione del Signore: card. Cantalamessa, “morte di Dio è una moda”, “nichilismo è buco nero”

Il proclama di Nietzsche sulla morte di Dio, messo in bocca all’”uomo folle” – “Dov’è andato Dio? Ve lo dico io! Siamo stati noi a ucciderlo: voi ed io!”- “è stato declinato nei modi e con i nomi più diversi, fino a diventare una moda, un’atmosfera che si respira negli ambienti intellettuali dell’Occidente postmoderno”. A denunciarlo è stato il card. Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, nell’omelia della celebrazione della Passione del Signore, presieduta dal Papa nella basilica di San Pietro. “Il denominatore comune di tutte queste diverse declinazioni è il totale relativismo in ogni campo: etica, linguaggio, filosofia, arte e, naturalmente, religione”, il monito del cardinale: “Nulla è più solido; tutto è liquido, o addirittura vaporoso”. “Al tempo del romanticismo ci si crogiolava nella malinconia, oggi nel nichilismo”, ha denunciato il predicatore della Casa pontificia: “Come credenti è nostro dovere mostrare che cosa c’è dietro, o sotto, quel proclama, e cioè il guizzo di una fiamma antica, l’improvvisa eruzione di un vulcano mai spento dall’inizio del mondo. Il dramma umano ha avuto anch’esso il suo prologo in cielo, in quello ‘spirito della negazione’ che non accettò di esistere in grazia di un altro. Da allora, egli non fa che reclutare sostenitori della sua causa, primi tra essi gli ingenui Adamo ed Eva: ‘Sarete come Dio. Conoscerete il bene e il male!’”. “All’uomo moderno, tutto ciò non sembra che un mito eziologico per spiegare il male del mondo”, ha argomentato Cantalamessa: “E – nel senso positivo che oggi si dà al mito – tale esso è in realtà! Ma la storia, la letteratura e la stessa nostra esperienza personale ci dicono che dietro questo mito c’è una verità trascendente che nessuna narrazione storica o ragionamento filosofico potrebbe trasmetterci”. “Dio conosce il nostro orgoglio e ci è venuto incontro, annientandosi, lui per primo, davanti ai nostri occhi”, ha ricordato il cardinale citando la lettera di San Paolo ai Filippesi: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. “Dio? Siamo stati noi a ucciderlo: voi ed io!”, grida “l’uomo folle”: “Questa cosa tremenda si è, di fatto, realizzata una volta nella storia umana, ma in senso ben diverso da quello da lui inteso”, ha commentato il domenicano: “Perché è vero, fratelli e sorelle: siamo stati noi – voi ed io – a uccidere Gesù di Nazareth! Egli è morto per i nostri peccati e per quelli di tutto il mondo! Ma la sua risurrezione ci assicura che questa strada non va verso la disfatta, ma, grazie al nostro pentimento, porta a quella ‘apoteosi della vita’, invano cercata altrove”. “Perché parlare di questo durante la liturgia del Venerdì Santo?”, la domanda di Cantalamessa: “Non per convincere gli atei che Dio non è morto! I più celebri tra essi l’hanno scoperto per conto proprio, nel momento in cui hanno chiuso gli occhi alla luce – meglio, alle tenebre – di questo mondo. Quanto a quelli tra loro che sono ancora in vita, per convincerli occorrono ben altri mezzi che le parole di un predicatore. Mezzi che il Signore non farà mancare a chi ha il cuore aperto alla verità. No, lo scopo vero è un altro; è trattenere i credenti –chissà, magari soltanto qualche studente universitario – dall’essere attirati dentro questo vortice del nichilismo che è il vero ‘buco nero’ dell’universo spirituale, far risuonare fra noi l’ammonimento sempre attuale del nostro Dante Alighieri: Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogni vento, e non crediate ch’ogni acqua vi lavi”.

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