Le diseguaglianze di reddito da lavoro sono più marcate tra i giovani. Ha, infatti, un reddito fino a 9mila euro il 28% dei giovani fino a 29 anni (dato che arriva al 31,7% nel caso delle giovani donne). Questa percentuale diminuisce significativamente nelle classi di età successive (12,5% 30-34 anni; 11,3% 35-39 anni; 9,8% 40-54 anni) per poi tornare a crescere tra coloro che hanno un’età compresa tra i 55 e i 60 anni (11,4%) e poi raggiungere addirittura il 30,3% tra chi ha più di 60 anni”. È quanto emerge dal report “Lavorare pari: dati e proposte sul lavoro tra impoverimento e dignità”, un lavoro realizzato dall’Area Lavoro Acli in collaborazione con l’Iref e il Caf Acli a partire da oltre 760mila dichiarazioni dei redditi del 2021, esclusi i pensionati.
Lo studio mette in evidenza che “non diminuisce però il divario di genere che, al contrario, dopo i 29 anni aumenta in modo costante: in tutte le classi di età le donne con redditi che non vanno oltre i 9.000 euro sono almeno il dieci per cento in più degli uomini e tra gli ultrasessantenni le donne con i redditi al di sotto dei 9.000 euro sono il 43,7%, rispetto al 7,2% degli uomini”.
Inoltre “un lavoro stabile non basta per le donne”. “Il quadro complessivo che ci viene restituito dai dati – viene spiegato – è quello di percorsi di carriera piatti in cui è difficili uscire da una condizione di lavoro povero o di vulnerabilità. Anche il divario di genere tra i redditi percepiti tende a permanere sia che i/le dichiaranti abbiano lavorato continuativamente durante l’anno, sia che abbiano lavorato in maniera discontinua (ovvero, non per tutto l’anno). Si può, quindi, supporre che il lavoro da solo non sia sufficiente a riscattare la condizione di svantaggio delle donne e che la fragilità reddituale del genere femminile non muti considerando la condizione lavorativa delle dichiaranti”.