“Prendersi cura del pianeta, come ci prendiamo cura di noi stessi, e celebrare la cultura dell’incontro sono gli insegnamenti tratti dalle encicliche di Francesco Laudato si’ e Fratelli tutti, che si trasformano nella guida al percorso espositivo della partecipazione del Vaticano alla 18ª Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia 2023”. Lo ha detto l’architetto Roberto Cremascuoli, curatore del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia, intervenuto alla presentazione dell’evento – in programma dal 20 maggio al 26 novembre – in sala stampa vaticana. La partecipazione della Santa Sede è ospitata dalla comunità benedettina negli spazi gestiti dalla Benedicti Claustra Onlus nel monastero palladiano a San Giorgio Maggiore, ha reso noto l’architetto: “Il monastero benedettino diventa così lo scenario di Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino, in risposta al tema ‘Il Laboratorio del Futuro’ proposto dalla curatrice generale della mostra Lesley Lokko”. “Nel convento – ha spiegato il relatore – si realizza la costruzione di un processo reale, la dimensione evocativa di un progetto che non è necessariamente pensato per definire uno spazio finito, bensì un modus operandi. Con le installazioni realizzate, ci siamo occupati di fare ordine mediante il disegno e la pratica di gesti semplici, prendendo spunto dall’uso quotidiano e dal modello di vita monastico”. All’origine del percorso, un fotoracconto e videoracconto di Marco Cremascoli e Mattia Borgioli. Poi il visitatore viene accolto dall’installazione “O encontro” (“L’incontro”) di Álvaro Siza, dove una sequenza di figure si dispongono dalla galleria principale attraverso le sale fino a raggiungere il giardino. “Ci accolgono a braccia aperte, in ginocchio o ci salutano”, ha detto Cremascuoli: “Dialogano con lo spazio incolume del convento, dialogano tra di loro, dialogano con i visitatori. Con la loro gestualità ci conducono fino all’incontro nel giardino, il luogo della contemplazione”. Il primo atto del processo in giardino è stato quello di Studio Albori, insieme al gruppo di ortisti Michela Valerio, Agostino Vallonzer e Riccardo Bermani (Associazione culturale About), con lo scopo di “fare ordine nel giardino”, integrando le essenze esistenti con le nuove piantumazioni dell’orto, composto da varie sezioni di ortaggi (per consumo conventuale o esterno), erbe aromatiche e officinali, erbe spontanee e fiori eduli (per gli spazi contemplativi). “La disposizione delle colture si identifica con un elemento della natura, sole, terra, aria, acqua associando la parte commestibile delle piante al proprio elemento”, ha commentato il curatore del Padiglione: “I frutti che hanno bisogno di sole (pomodori), le radici e tuberi che crescono sottoterra, i fiori e i profumi che si muovono nell’aria, le foglie sono ricche d’acqua. Laddove è stato possibile, esiste una suddivisione dell’orto in aree geografiche per raccontare l’origine delle essenze: nella sezione frutti-sole sono presenti principalmente piante che vengono dalle Americhe e nella sezione radici-terra invece una predominanza di piante del bacino Mediterraneo (Europa meridionale, Medio Oriente, Vicino Oriente)”. Il secondo atto del processo nel giardino trasformato in orto è eseguito su disegno e costruzione del collettivo di architetti Studio Albori (Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva): “Attraverso il riuso del materiale tratto dalla rimozione di un’abitazione a Cortina d’Ampezzo, sono stati realizzati manufatti per ospitare il pollaio e altri che rendono possibile la sosta nell’orto, il riparo, l’incontro o semplicemente la contemplazione. Sono le costruzioni di un chiosco con pergola (limonaia), un parasole con sedute, il deposito dei semi con pergola e riparo, una serra”.