“Al Sud la cultura dello sviluppo che per 72 anni ha guidato gli interventi straordinari per ridurre il divario Nord-Sud si è dimostrata sbagliata”: “Fatto cento il Pil pro capite di un cittadino del Nord, quello di un cittadino del Sud è passato dal 52,9% al 56,3%. Un obiettivo clamorosamente fallito”. Lo ha affermato Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, nel suo intervento al 43° Convegno nazionale delle Caritas diocesane intitolato “Agli incroci delle strade. Abitare il territorio, abitare le relazioni” in corso da oggi fino al 20 aprile a Salerno. “Il mancato raggiungimento dell’obiettivo – ha aggiunto – è da attribuire ad una causa profonda, strutturale: un’errata cultura dello sviluppo, tutta quantitativa ed economicistica; tutta basata sull’esigenza di rendere forte e potente l’offerta di risorse; e sostanzialmente disattenta alla domanda, alle energie locali, alle responsabilità locali. I meridionali, popolo ed istituzioni, destinatari e non corresponsabili delle politiche e degli interventi”. La sua tesi è che “non può esserci sviluppo solido e duraturo se non vi è una sufficiente dotazione di capitale sociale”, per cui è “necessaria una radicale discontinuità nelle politiche di sviluppo”; ossia investire sul “capitale sociale”. Per evitare fraintendimenti, ha precisato, “è doveroso, necessario ed anche urgente che in un’economia duale, come la nostra, bisogna prevedere trasferimenti di risorse verso la parte meno sviluppata del Paese. Questo è necessario, ma non sufficiente. Se i trasferimenti non intercettano responsabilità locali, comunità coese, istituzioni locali adeguate, i trasferimenti rischiano di accentuare la dipendenza. Quindi investimenti sul capitale sociale”. La strada privilegiata per accumulare capitale sociale, ha detto, è “quella di investire sul Terzo settore, di mettere al primo posto nella complessiva definizione delle politiche, gli interventi nel sociale” e “costruire una dimensione comunitaria”. In più occasioni – ha affermato – “ho potuto verificare che la Caritas costituisce la più rilevante rete di infrastrutturazione sociale nel Mezzogiorno” ma il “vecchio welfare, risarcitorio e totalmente pubblico, non regge più”. “Il ruolo di chi come voi lavora nel sociale non è più di supplenza, di soccorso, di integrazione – ha puntualizzato -. Le necessarie risorse pubbliche non devono essere gestite in modo esaustivo dalla Pubblica Amministrazione, ma devono vedere in un ruolo attivo le organizzazioni del sociale capaci, ormai è dimostrato, di interventi più efficaci e più efficienti”.