“Finalmente celebriamo quest’anno una Pasqua dopo aver ripreso pienamente i riti della Settimana Santa che, qui a Taranto, sono particolarmente sentiti”: sono queste le parole di mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, incontrato nella chiesa di San Domenico Maggiore prima dell’inizio della processione dell’Addolorata del Giovedì Santo. “La processione dell’Addolorata rispecchia molto la fede e la devozione dei tarantini, come un’attesa rivolta alla madre di Dio che sostenga tutte le sofferenze della gente. Le sofferenze legate all’inquinamento, ai problemi familiari, alla guerra in Ucraina e, dall’altra parte del nostro mar Jonio, ai profughi affogati in maniera disumana. In tutto questo scenario viene l’annuncio della passione del Signore che coincide con la passione di questa gente, ma nello stesso tempo l’annuncio che ci si affida al Signore ed alla madre di Dio”. Un annuncio che, per mons. Santoro, riempie di speranza e fiducia, testimoniata dai molti giovani che fanno parte delle confraternite e seguono il cammino quaresimale di preparazione. “È un momento importante nella vita del territorio tarantino, di ripresa sotto vari aspetti”, aggiunge l’arcivescovo di Taranto che conclude: “È necessario un supplemento d’anima, una ricchezza che da speranza a tutti e la Pasqua di Cristo è proprio la vittoria, un modo di concepire la vita seguendo un amore più grande non l’individualismo dell’io chiuso in se stesso ma l’apertura del cuore alla solidarietà, alla difesa della terra, della natura, dell’ambiente, della vita in tutti i suoi aspetti”.
I riti della Settimana Santa di Taranto iniziano dalla Domenica delle Palme e risalgono al periodo della dominazione spagnola nel meridione dell’Italia, introdotti nel 1703 dal patrizio tarantino don Diego Calò e, nel 1765, donati alla confraternita del Carmine dall’erede Francesco Antonio Calò. “Non si tratta di una semplice processione come ce ne sono in tutta Italia, è qualcosa di più. È la riscoperta della nostra storia, delle nostre radici, di quel filo conduttore che ci lega alle passate generazioni. Attraverso il racconto di queste tradizioni, quasi ripercorriamo la vita dei nostri antenati, dei nostri nonni, dei nostri bisnonni. I familiari non mollano mai i confratelli durante questa processione, gli stanno sempre vicini, vogliono condividere con loro questo trasporto, questa mistica”. Sono queste le parole di Angelo Diofano, giornalista e ricercatore dei riti della Settimana Santa di Taranto, che spiega le due processioni conclusive, quella del Giovedì Santo organizzata dalla confraternita dell’Addolorata, che esce dalla chiesa di San Domenico Maggiore a mezzanotte e si conclude dopo 14 ore, e la processione dei Misteri del Venerdì Santo che esce alle ore 17 dalla chiesa del Carmine e dura 15 ore, entrambe caratterizzate dalla troccola, uno strumento in legno che produce un suono particolare, e dall’andatura lentissima che prende il nome di nazzicata.
Sono molte altre le particolarità dei riti, dagli abiti indossati, alle statue portate a spalla, così come i piedi nudi dei penitenti aiutati a portare la croce dai loro famigliari dopo le 6 del mattino, i bambini con le pesare attaccate al collo che ad ogni sosta vengono fatti sedere sul ginocchio genuflesso di chi li assiste tutto il tempo da vicino, ma soprattutto gli occhi lucidi di chi si commuove al passaggio del corteo.