“Nel caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita”. Ad affermarlo è la maggioranza dei componenti del Comitato nazionale di bioetica (19), nel parere espresso ieri sera in risposta ad alcuni quesiti posti lo scorso 6 febbraio dal ministero della Giustizia con riferimento ad un paziente in stato di detenzione – evidente, anche se non nominato direttamente, il riferimento all’anarchico Alfredo Cospito – che rifiuta le cure mediche. In un comunicato appena diffuso il Cnb ricorda che la stessa Corte europea dei diritti umani (Cedu), “ha sostenuto di recente che: ‘né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna’. Le Dat sono incongrue, e dunque inapplicabili, ove siano subordinate all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della L.219/2017”. Altri componenti del Cnb (9), riferisce ancora il comunicato, ritengono invece “che non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della L.219/2017 nei confronti della persona detenuta in sciopero della fame, anche in pericolo di vita. Anche in questo caso la nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere rifiutate, anche mediante le Dat e la pianificazione condivisa delle cure. Il diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà – derivazione logica del diritto alla intangibilità della sfera corporea di ogni essere umano – costituisce un principio costituzionale fondamentale del nostro ordinamento”. Altri ancora “ritengono che un diverso bilanciamento dei principi in gioco non sia da escludere, anche guardando all’esperienza di altri Paesi. Considerano tuttavia che un intervento del legislatore sia la via obbligata, comunque stretta per vincoli e giurisprudenza costituzionali” e sottolineano, conclude il comunicato, “la necessità di offrire un esplicito e chiaro riferimento normativo a chi si troverà a prendere queste decisioni, a partire dai medici”.