“Siamo disponibili a collaborare, forti della nostra esperienza decennale, per allargare gli spazi dei canali legali che permettono di salvaguardare le vite e di togliere ossigeno malato ad organizzazioni malavitose”. Così mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, riferendosi ai corridoi umanitari ha risposto alle domande dei giornalisti sulle migrazioni, durante la conferenza stampa di chiusura del Consiglio episcopale permanente (Cep), svoltosi a Roma in questi giorni. Nel comunicato finale del Cep, i vescovi hanno evidenziato la “debolezza delle risposte messe in atto” in tale ambito, facendo riferimento alla tragedia di Cutro e definendola “una ferita aperta”. “Ci sono due procedimenti in corso presso due procure, non possiamo entrare su questo”, ha precisato il segretario generale della Cei: “Naturalmente è una ferita aperta, si tratta di persone morte sulle nostre coste”. “Auspichiamo una vera concertazione tra gli Stati europei nella gestione di un fenomeno che è globale e non può essere affrontato se non in modo concertato”, l’appello a nome dei vescovi italiani: “Una politica fatta solo di controllo, di ordine pubblico, di restrizioni e di respingimenti non coglie il problema vero, che è la tutela delle vite delle persone. Bisogna soccorrerle e verificare un’integrazione che è possibile e importante per tutti, perché tutti abbiamo bisogno di una società nuova, a cominciare dall’inserimento nel mondo del lavoro”. A questo proposito, per Baturi, serve “uno sguardo lungimirante che sappia guardare anche ai Paesi di origine, che abbia la capacità di vedere non solo lungo il tempo ma anche nello spazio il punto originante, la povertà, le ragioni economiche e politiche, di persecuzione di guerre che spingono queste persone a partire”. “Una politica globale e lungimirante – ha proseguito il segretario generale della Cei – non può non farsi carico del fatto che la libertà di andare deve essere connessa alla libertà di restare, e ciò è possibile solo se ci sono condizioni di vita dignitose”.