Sanità: p. Arice (Cottolengo), “riconosciuta la bontà e la necessità dei luoghi di cura, grazie alla comunità cristiana”

“Siamo grati di vivere in un tempo in cui il consesso sociale riconosce la bontà e la necessità dei luoghi di cura, anche se le disparità tra i diversi luoghi della terra sono notevoli. Possiamo affermare, però, con umiltà, verità e riconoscenza che questo è stato possibile proprio grazie alla comunità cristiana che ha dato massima importanza all’ospitalità degli infermi”. Lo ha detto padre Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, nella sua prolusione alla seconda edizione del convegno nazionale “Dialoghi su Monachesimo e società”, organizzato stamani dall’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale con l’abbazia di Montecassino. Tema della mattinata di studio, “Dalla salus monastica all’ospedalizzazione della fede”. “Se la malattia e la sofferenza fanno entrare la persona in un tunnel lungo e buio – ha osservato -, la fede è come una luce che può illuminare il fondo di questo tunnel, una luce può essere percepita se teniamo lo sguardo fisso su Cristo Gesù, l’uomo-Dio che ha attraversato quel tunnel senza sconti, in tutta la sua drammaticità, diventando così com-partecipe di ogni patire umano. La fede è terapeutica perché è una possibilità vera offerta all’uomo di non vivere l’esperienza della malattia con disperazione!”.

Evidenziando che “la malattia non è mai solo un evento clinico ma è anche un evento esistenziale, che impone la domanda di senso nella proporzione della sua gravità”, il religioso si è soffermato in particolare su un aspetto: “Se il dolore fisico può e deve essere moderato dalle necessarie terapie, la sofferenza umana ha bisogno di abitare la speranza, di essere illuminata da orizzonti più vasti, di sapere che la sua lecita domanda di salute non è altro che il desiderio di superare la sua finitudine ed essere salvato per sempre”. La vera sfida che la sanità ha oggi davanti a sé (anche quella di espirazione cristiana) – secondo p. Arice – è “la capacità di armonizzare nella cura della persona e nella promozione della salute, logica tecnica e logica etica, mezzi e fini”. “Non sempre si può guarire, sempre si può e si deve curare; non sempre ci si può liberare dalla malattia o dall’invecchiamento, sempre si può liberare la malattia e l’invecchiamento se avremo il coraggio di non mettere a tacere il significato di eventi esistenziali preziosi”. “La fede (cioè l’esperienza religiosa) e la spiritualità (intesa come orizzonte di senso importante per la vita) sono risorse che hanno diritto di cittadinanza nel percorso terapeutico di una persona malata”.

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