Il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) ribadisce “la necessità di facilitare percorsi alternativi per l’uscita dal carcere, in particolare per le persone con problemi di dipendenza. Ma le comunità non vanno pensate come surrogati degli istituti di pena né come carceri private”. “Da sempre crediamo all’inutilità della detenzione per le persone con dipendenze come dimostrano le numerose accoglienze nelle nostre strutture e nei progetti di misure alternative territoriali. E’ un lavoro che facciamo da anni. Ma le comunità non devono diventare delle carceri private, la detenzione non è lo strumento per facilitare la cura e il percorso di riabilitazione. A livello normativo sono già previsti dei percorsi alternativi, poco utilizzati e non sufficientemente sostenuti a livello economico e culturale. Il Cnca e una buona parte della società civile c’è ed è disponibile a ragionare su un’idea di superamento che sia inserita in una logica di sistema basta sulla scelta e la responsabilità della persona”, afferma Caterina Pozzi, presidente del Cnca. “Non è pensabile tornare ad un modello di comunità di alcune esperienze degli anni ‘80, che oggi come allora non trovano assoluto riscontro nella realtà e nei bisogni delle persone che incontriamo – prosegue Pozzi -. Accogliamo oltre 4000 ospiti nelle nostre comunità che sono aperte sul territorio, lavorano per l’inserimento sociale e accompagnano le persone nei propri percorsi di responsabilità, recupero e scelta consapevole. Queste realtà non possono trasformarsi in luoghi di puro contenimento. Rivendichiamo con forza la professionalità e la motivazione etica e di impegno sociale degli operatori che lavorano nei nostri servizi; si tratta di professionisti che hanno scelto un lavoro di accompagnamento e cura e che non possono mai fare le veci della polizia penitenziaria”. Il Cnca è oggi la principale rete di cura delle dipendenze nel terzo settore con circa 300 realtà presenti in tutta Italia e 4000 persone prese in carico ogni anno.