Giuseppe e Marco “erano pronti; siamo noi a non essere pronti!”. Lo ha messo in evidenza oggi pomeriggio mons. Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, nell’omelia pronunciata durante i funerali dei due ufficiali dell’Aeronautica – il tenente colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Maneghello – morti martedì a seguito di una collisione in volo dei velivoli di cui erano al comando.
“Siamo noi a sentirci feriti e spiazzati” dalla morte dei due ufficiali, ha osservato il vescovo: “Noi non siamo pronti. Loro lo erano perché hanno saputo vivere con intensità!”. “Marco e Giuseppe – ha proseguito – erano con l’abito ‘di lavoro’, ‘di servizio’, potremmo dire, con la divisa; ed è commovente che la morte li abbia colti così, in una pienezza di vita ben spiegata dalle parole di San Paolo nella prima Lettura (Rm 14,7-12): ‘Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso’”.
Mons. Marcianò ha poi rilevato che “si è pronti perché non si vive per se stessi. Tutta la storia di Marco e Giuseppe lo afferma, fino all’ultimo gesto di eroismo, con cui – tanti lo hanno riconosciuto, con commozione e gratitudine – si è potuta sventare una tragedia di dimensioni molto maggiori”. “La manovra estrema, che ha evitato il precipitare dell’aereo sulle case e sulla gente, non è stata solo frutto di perizia e coraggio, di un addestramento nel quale i piloti imparano a scansare obiettivi sensibili; è stata ancor più una sorta di istinto, sgorgato dal grande cuore dei nostri amici, dalla profonda umanità maturata in loro grazie anche alla formazione ampia e completa offerta dalla nostra Aeronautica militare”, ha aggiunto, ammonendo: “È più che eroismo o semplice altruismo quello che ha segnato la loro vita e la loro morte e oggi diventa esempio e forza per noi”.
Il vescovo ha poi esortato: “Cari amici e parenti, cari familiari, vivendo per gli altri e per Dio ritroverete Giuseppe e Marco; mettendovi a servizio di coloro i quali ha bisogno di voi, ritroverete in quei volti i loro volti, il loro insegnamento di vita, la loro testimonianza luminosa, in grado di rischiarare il dolore più buio”. E ha concluso: “Cari Giuseppe e Marco, siamo affranti dal dolore ma vogliamo immaginarvi così, felici. Felici di non aver consumato invano la vita ma di esservi consumati nell’amore fraterno, nell’amicizia e, soprattutto, in un servizio che è stata la vostra passione, la vostra dedizione al bene della gente e del nostro Paese; e vi ha preparati alla morte come incontro definitivo con il Signore, la cui vicinanza avete potuto sperimentare nella vita di ogni giorno. Perché – dice il Vangelo – chi si cinge la veste e passa a servirci a tavola è Lui; ed è in quanto siamo da Lui serviti che possiamo servire, in quanto siamo amati che possiamo amare. Grazie, perché voi lo avete fatto e, così, avete migliorato il mondo. Aiutate anche i vostri cari e i vostri colleghi, le nostre Istituzioni e il nostro Paese a farlo. Così, insieme, costruiremo un mondo migliore”.