“Oggi noi guardiamo la nostra Città e vediamo tante macerie: quelle lasciate dal dissesto finanziario; della precarietà della politica, molto spesso noncurante dei tempi e dei modi della sua presenza; della diffusa illegalità; del degrado ambientale; dell’aumento della devianza minorile; della disoccupazione; della povertà economica che diventa una triste eredità che si lascia ai più giovani, soprattutto se questi lasciano la scuola già nella fanciullezza o nell’adolescenza; dell’abbandono in cui versano le periferie”. È la fotografia offerta dall’arcivescovo di Catania, mons. Luigi Renna, nel messaggio alla Citta, in occasione della festa di Sant’Agata. Oggi la santa, ha evidenziato il presule, “vuole che noi, alla luce del suo martirio, pensiamo alla liberazione della nostra patria, non da altro nemico che quello della rassegnazione, della sfiducia, del continuare che la città venga distrutta dai suoi stessi cittadini che rinunciano a darle una svolta”.
Liberare la città, ha spiegato, “significa ricostruirla con il senso di partecipazione alla vita pubblica, rifuggendo dalla sfiducia in noi stessi, nel futuro da costruire responsabilmente e con una più consapevole partecipazione a quello che è un diritto e un dovere: il voto libero e consapevole”. Ma “che città vogliamo costruire con l’intercessione e la forza che ci dà l’esempio di Sant’Agata?”, si è chiesto l’arcivescovo per il quale “noi possiamo costruire con il nostro modo di fare o la città della confusione, come Babele, o della pace e del benessere, come Gerusalemme”. La città della pace è “quella nella quale si costruisce il bene di tutti, che non è solo di una parte, di un quartiere, di una categoria di persone, secondo criteri di fraternità e di amicizia sociale, così come ci ricorda Papa Francesco”. Il bene comune è “bene indiviso”, il bene del “noi tutti”: “Le risorse, che sono tante in una Città che potrebbe vivere di turismo, non siano appannaggio controllato da pochi, dilapidato dalla corruzione e dalla mafia, ma divengano il pane che sfama con una visione della città che fornisca infrastrutture e luoghi di vita alle immense periferie della città, dove operosi uomini e donne stanno cercando di organizzare il futuro, ma non possono farcela senza tutta la città; le spade e le lance che dicono tutto ciò che è divisione e spartizione divengano condivisione. Così si rinnoverà il miracolo della patria di Agata liberata, quando diverrà come la città della pace e della concordia, animata dalla fraternità”. C’è bisogno perciò “di creare una alleanza fra le generazioni: giovani e meno giovani, i nostri giovani vivaci e intelligenti, che possono essere fermati dall’emigrare solo se consegneremo loro la responsabilità di pensare e guidare, perché ne sono molto capaci. Occorre fare un’alleanza fra i quartieri, per non essere preda di coloro che vendono promesse che non realizzeranno mai perché fa loro comodo avere persone che non conoscono i loro diritti. Occorrono politici che sappiano studiare i mali di Catania e le loro soluzioni, che siano liberi da vincoli che li appiattiscono non sul presente, ma sul peggiore passato”.