Il costante aumento degli atti di violenza nello Stato del Guerrero “dà l’impressione che siamo stati rapiti collettivamente”. È la denuncia che viene fatta dai vescovi messicani della regione ecclesiastica di Acapulco (Guerrero, Messico sudoccidentale, lungo la costa del Pacifico), i quali rivolgono, in un messaggio pervenuto al Sir un duplice appello. In primo luogo, alle autorità civili “affinché non si lascino intrappolare dall’indifferenza o dall’intimidazione e agiscano con fermezza”. Infatti, nonostante gli sforzi di costruzione della pace, la violenza e l’insicurezza continuano a prevalere e a causare “impoverimento economico, culturale, etico, sociale e politico”. Da qui, la richiesta che la legge venga applicata per evitare l’impunità “di coloro che cercano di sottomettere al loro impero individualista e distruttivo interi popoli o porzioni della nostra società che, vedendosi privi di protezione, provano stanchezza, frustrazione, disperazione e l’impulso a fuggire o a difendersi da soli”.
In secondo luogo, i cittadini invitano a “riconoscere e rafforzare il ruolo regolatore delle autorità civili e militari”. Il comunicato è stato firmato dall’arcivescovo di Acapulco, mons. Leopoldo González González; dal vescovo di Chilpancingo-Chilapa, mons. José de Jesús González Hernández; dal vescovo di Altamirano, mons. Joel Ocampo Gorostieta, e dal vescovo di Tlapa, mons. Dagoberto Sosa Arriaga.
Un’altra situazione preoccupante, per quanto riguarda la violenza in Messico, si vive molto più a nord, nello Stato di Chihuahua, al confine con gli Stati Uniti. Qui i sacerdoti gesuiti in servizio a Cerocahui, nella Sierra Tarahumara, che già hanno pagato il prezzo di due vite lo scorso giugno, sono ad alto rischio e nel mirino del cartello di Sinaloa. La Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) ha dato al Governo messicano 15 giorni per prendere misure di protezione nei confronti dei gesuiti e per informare la stessa Cidh. Cosa finora non avvenuta, mentre il termine dei 15 giorni sta per scadere.