Condannato a 26 anni per essere un “traditore della patria”, senza un processo (che avrebbe dovuto svolgersi mercoledì prossimo). La “vendetta” di Daniel Ortega nei confronti di mons. Rolando José Álvarez Lagos, vescovo di Matagalpa e amministratore apostolico della diocesi di Estelí, che giovedì aveva rifiutato l’esilio forzato che lo avrebbe accomunato ad altri 222 detenuti politici, si è consumata nel giro di 24 ore. Il vescovo è considerato, oltre che “traditore della patria”, colpevole di “cospirazione per minare l’integrità nazionale e propagazione di notizie false attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Privato della libertà lo scorso 19 agosto, è rimasto fino a giovedì agli arresti domiciliari, in attesa del processo. Pur inserito nella lista dei detenuti che sarebbero stati portati negli Stati Uniti, in accordo con l’Ambasciata Usa, ha rifiutato l’esilio forzato, ritenuto un’ulteriore ingiustizia e atto di violenza da parte del regime. Già nella serata di giovedì era stato rinchiuso nel carcere di La Modelo, a Managua. Quindi, la fulminea e pesantissima condanna. Gli altri sacerdoti che si trovavano con lui in agosto nella curia di Matagalpa, e che si trovano ora negli Stati Uniti assieme agli altri detenuti politici, erano stati condannati a dieci anni di carcere. La sentenza è stata letta, quando in Italia era notte, nel tribunale di Managua dal giudice Octavio Rothschuh, presidente della Prima sezione della Corte d’Appello. Tra i primi commenti quello del vescovo ausiliare di Managua, mons. Silvio Báez, che da anni si trova all’estero (ora vive a Miami), dopo aver subito pesanti minacce dal regime. Ha definito “irrazionale e sfrenata la sentenza”, attuata da un regime che “non ha resistito alla sua altezza morale e coerenza profetica”. Con questa sentenza, afferma il vescovo, “hanno condannato loro stessi”.