“L’Eucarestia è sempre ringraziamento, il più completo, perché ci unisce con il Signore e tra noi, riveste le nostre povere persone della luce dell’amore pieno di Dio, della sua presenza nell’incertezza e nella confusione della vita. Oggi sentiamo tutti, sia personalmente sia come comunità, la gioia di ringraziare per l’amicizia che ci unisce, per questi anni di amore, legame gratuito e circolare. Ne godiamo davvero tutti, quelli della prima come quelli dell’ultima ora, anticipo della casa di quel padre che vuole che ‘tutto ciò che è mio è tuo’ (Lc 15,31)”. Lo ha detto ieri sera il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nell’omelia della Messa celebrata per il 55° anniversario della Comunità di Sant’Egidio. Nel corso degli anni, ha spiegato il cardinale “la Comunità si è fatta vicina alle ferite che segnano le persone, i poveri. Iniziò alle baracche del Cinodromo, il primo servizio della Comunità, non smettendo di cercare i tanti e spesso enormi Cinodromo delle città degli uomini, ovunque. Quante sofferenze, quante lacrime, quanto abbandono! Il grido di pace di interi popoli ha trovato in questa Arca di Noè ascolto, protezione, compagnia, casa, luce, speranza”. “Non ha mai smesso di cercare una soluzione, ben diversa da compiaciute e facili dichiarazioni, commozioni digitali o da spettacolo – il racconto del presidente della Cei -. Sant’Egidio, consapevole che la soluzione non dipende mai solo dalla nostra decisione o dagli sforzi, non ha smesso di cercarla con tutta sé stessa unendoli sempre alla preghiera. Poveri e preghiera, amore per il prossimo e amore per Dio. Gli occhi brillano di luce perché asciugo le lacrime di chi soffre, diceva Madre Teresa”. “La Comunità brilla di amore – ha puntualizzato Zuppi -, perché ha pianto con chi è nel pianto, ma ha anche sentito la consolazione dei tanti sorrisi restituiti, delle solitudini sconfitte, delle parole ritrovate, degli occhi aperti, anticipo della beatitudine di Gesù che non finirà. La misura non è mai stata quello che si può fare, ma quello che serve fare. A volte sperimentiamo, con amarezza, quanto i ritardi siano colpa degli uomini, la nostra fragilità e il nostro limite, ma senza rinunciare a cercare le risposte”. “È successo così con i corridoi umanitari – ha precisato il card. Zuppi -, che hanno aperto il muro impenetrabile del ‘non c’è niente da fare’, ‘si può solo aspettare’. Migliaia di persone che lo aspettavano hanno avuto futuro. Poche? Chi salva un uomo salva il mondo intero, perché ogni persona è un mondo, unico e insostituibile”. “Ricordiamoci sempre – ha concluso – e per tutti che chi perde un uomo, perde un mondo intero”.