Incontrando nella nunziatura di Kinshasa le vittime della violenza nell’Est del Paese, il Papa ha rinnovato l’invito “perché quanti vivono nella Repubblica Democratica del Congo non si lascino cadere le braccia, ma si impegnino per costruire un futuro migliore”. “No” alla rassegnazione, l’indicazione di Francesco: “la pace chiede di combattere lo scoraggiamento, lo sconforto e la sfiducia che portano a credere che sia meglio diffidare di tutti, vivere separati e distanti piuttosto che tendersi la mano e camminare insieme”. “Un avvenire di pace non pioverà dal cielo, ma potrà arrivare se si sgombreranno dai cuori il fatalismo rassegnato e la paura di mettersi in gioco con gli altri”, la tesi del Papa: “Un futuro diverso verrà se sarà di tutti e non di qualcuno, se sarà per tutti e non contro qualcuno. Un avvenire nuovo verrà se l’altro, tutsi o hutu che sia, non sarà più un avversario o un nemico, ma un fratello e una sorella nel cui cuore bisogna credere che c’è, pur nascosto, lo stesso desiderio di pace”. “Anche nell’Est la pace è possibile! Crediamoci! E lavoriamoci, senza delegare il cambiamento!”, l’appello: “Non si può costruire l’avvenire restando chiusi nei propri interessi particolari, ripiegati nei propri gruppi, nelle proprie etnie e nei propri clan”. “Siamo tutti fratelli, perché figli dello stesso Padre”, ha ricordato Francesco citando, nella lingua originale, un adagio swaili: “così ci insegna la fede cristiana, professata da gran parte della popolazione. Allora, si alzi lo sguardo al cielo e non si rimanga prigionieri del timore: il male che ciascuno ha sofferto ha bisogno di essere convertito in bene per tutti; lo sconforto che paralizza ceda il passo a un rinnovato ardore, a una lotta indomita per la pace, a coraggiosi propositi di fraternità, alla bellezza di gridare insieme mai più: mai più violenza, mai più rancore, mai più rassegnazione!”.