“Oggi abbiamo in carico 347 persone senza fissa dimora. Dal 2016 abbiamo erogato 3.462 prestazioni ambulatoriali al cui interno sono compresi esami strumentali che altrimenti avrebbero avuto difficoltà a fare”. Giovanni Addolorato, direttore Uoc Medicina Interna 2 e patologie alcool-correlate del Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma, da diversi anni opera fattivamente nel campo della medicina solidale. Ieri sera, intervenendo al webinar sul tema organizzato da Scienza&Vita, ha presentato la propria esperienza: “Lavorando in ospedale abbiamo constatato che una fetta di popolazione non ha accesso alle cure primarie, diritto che ogni cittadino dovrebbe avere. All’interno della mia Unità di Medicina interna abbiano allora deciso di dedicare un numero di letti a chi viene normalmente escluso da queste cure (persone senza documenti e/o senza fissa dimora)”. Addolorato opera in sinergia con una rete territoriale costituita da Elemosineria vaticana, Caritas e Comunità di Sant’Egidio. E’ stato semplice, racconta, superare i dubbi sulla sostenibilità del progetto: “I nostri pazienti hanno una degenza media di 7 giorni, una buona percentuale riesce a riguadagnare salute e alcuni anche a reinserirsi socialmente. Questo è l’impatto che abbiamo avuto: essere medici significa curare, ossia prendersi in carico le persone che hanno bisogno”. Ma la medicina solidale richiede una preparazione specifica: occorre fare anche medicina di strada nelle strutture di prima accoglienza. Per questo, racconta, “abbiamo attivato una scuola di specialità” che si chiama “Medicina di comunità e delle cure primarie” all’interno della quale, oltre all’attività in reparto e ambulatorio, la maggior parte dei quattro anni di percorso formativo è concentrata sulla medicina di strada: gli specializzandi dovranno andare ad esempio al quartiere Tufello dove è attivo un servizio di “portierato sociale” con volontari che segnalano i casi di fragilità, o sotto il porticato di san Pietro per “intercettare quella quota di persone che nei PS o in ospedale non si è sentita accolta”. Apprezzamento da parte del ministero dell’Università che ha attribuito alla scuola, appena avviata, addirittura cinque posti. “La principale difficoltà incontrata e condivisa da tutti i medici del mio team – rivela Addolorato – è stata di tipo emotivo perché il carico emotivo è davvero importante. Uno dei miei primi pazienti, un ragazzo romeno senza fissa dimora di nome Tudor, è rimasto incredulo di fronte alla mia richiesta di visitarlo: nei suoi precedenti accessi al PS non era stato mai toccato da nessuno perché puzzava, dicevano tra loro i medici”.