“Lo sviluppo della seconda parte delle operazioni militari di Israele a Gaza si sta traducendo nel peggiore degli scenari immaginati. L’Idf (Israel defence forces) sta spingendo i gazawi dalla parte centrale della Striscia verso Rafah, al confine egiziano e verso il mare, in un’area ancora più ristretta. Dall’inizio Israele aveva dichiarato di considerare come zona sicura quella che si trova ad ovest di Khan Yunis, una striscia di terra lungomare dove pensava di spingere tutta la popolazione (oltre 2,2 milioni, ndr.), operazione assolutamente irrealizzabile, anche con la massima disponibilità di noi umanitari. È impensabile, infatti, mettere 2,2 milioni di persone in un angolo di terra stimato in 40 kmq, forse anche meno”.
Lo ha detto oggi Andrea De Domenico, direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari nei Territori Palestinesi Occupati (Ocha), durante un incontro promosso da Articolo 21 e dalla Fondazione PerugiAssisi, in vista della Marcia della pace di Assisi del 10 dicembre e del 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. In collegamento da Gerusalemme, De Domenico ha fatto il punto sulla situazione umanitaria a Gaza dove, ha denunciato, “la sistematicità delle operazioni militari in corso ha fatto chiaramente capire che non c’è rispetto per i civili. Gli israeliani accusano le Nazioni Unite di non avere sufficientemente parlato degli ostaggi quando invece – sin dall’inizio della guerra – ne chiediamo il rilascio incondizionato. Abbiamo anche chiesto il rispetto e la protezione dei civili”. A Gaza, ha ricordato il direttore, è in atto “uno smantellamento sistematico dei servizi fondamentali per la sopravvivenza dei civili”. L’ultima notizia risale a ieri: “Raid israeliani e artiglieria hanno preso di mira il quartiere di al-Shujaiya nella città di Gaza, colpendo 50 edifici civili, con 500 tra morti e feriti”. Tutto questo per “colpire, come affermato da Idf, due militanti di Hamas”. “Non c’è rispetto per i civili e per le strutture civili. Gli ospedali, come lo Shifa – ha sottolineato -, sono ancora ritenuti obiettivi militari, giustificati dalla presenza, o presunta tale, di militanti di qualsiasi gruppo e di tunnel”. Per De Domenico è urgente “capire come aiutare la popolazione. Dai nostri team nella zona di Rafah arrivano notizie dello spostamento verso sud di decine di migliaia di persone. In questa area le possibilità di accoglienza sono minime, tutte le scuole sia pubbliche che dell’Onu, le moschee, le grandi strutture come le sale per i matrimoni sono state utilizzate per accogliere sfollati. Nonostante ciò Israele ci chiede di trovare dei luoghi per raccogliere gente. Ma dove? Non c’è niente. I nostri operatori raccontano di famiglie che vagano intorno a Rafah portando sulle spalle un materasso e poche cose cercando un luogo dove dormire. Stanno mettendo i gazawi nella impossibilità di sopravvivere in maniera dignitosa e umana. Questa cosa va condannata”. A questo si deve aggiungere la difficoltà di operare per i team di Ocha: “Non abbiamo carburante per portare avanti le nostre operazioni e fare girare gli ospedali, non abbiamo il personale che può entrare e uscire in sicurezza per aumentare il numero di interventi, gli aiuti umanitari entrano con il contagocce in base ai calcoli di qualcuno seduto dietro una scrivania. Non abbiamo possibilità di trasferire i feriti al di fuori di Gaza. Evacuare i feriti dalle zone di guerra è una conquista storica dell’umanità ma a Gaza non si può, è difficile, molto limitato”. In questa situazione, denuncia De Domenico, “l’Onu è messa in ginocchio. Nonostante ciò gli israeliani ci chiedono di ‘correre’, per arrivare al livello di distribuzione degli aiuti stabilito nei negoziati per la liberazione degli ostaggi. Ci siamo dati da fare per portare aiuto ai civili palestinesi che stavano ancora nel nord della Striscia. Abbiamo lavorato 24 al giorno durante la pausa. Ma non si è trattato di uno sviluppo strutturale della risposta umanitaria. Idf sta sfollando ancora più persone che stanno sotto le bombe e che perderanno tutto”. “A Gaza – conclude – non c’è un posto sicuro, nemmeno le nostre scuole. Molte nostre strutture sono state bombardate, e noi abbiamo perso 111 nostri operatori”.