Jacques Delors: Graglia (Univ. Milano), “fa parte del piccolo gruppo dei presidenti della Commissione che hanno contato”

(Foto Commissione Ue)

Dopo Jacques Delors “la presidenza della Commissione europea è dovuta diventare politica, per forza; prima di lui poteva esserlo oppure no, a seconda della caratura del personaggio che ricopriva quell’incarico”. Piero Graglia, docente di Storia dell’integrazione europea all’Università degli Studi di Milano, ricorda lo scomparso politico francese. “Delors fa parte del piccolo gruppo dei presidenti della Commissione che hanno contato, con Walter Hallstein, François Xavier Ortoli, Roy Jenkins, e, dopo di lui, Romano Prodi. Oggi si osserva Ursula von der Leyen e si pensa che, forse, farà la storia pure lei. Eppure è stato Delors quello che ha lasciato l’impronta più decisa. Ha saputo unire in un trittico indissolubile coesione economica e sociale, mercato unico e moneta unica insegnando ai governi (e ai governatori delle banche centrali) cosa volesse dire ‘integrazione’”.
Delors “ha impegnato la Commissione in anni di lavoro per uniformare, con la ‘norma Cee’, le specifiche di produzione di centinaia di migliaia di prodotti che hanno reso possibile il ‘mercato unico’, evoluzione del ‘mercato comune’”. Graglia sottolinea: “ha incontrato molte resistenze a suo tempo, resistenze che avevano la faccia della sovranista dell’epoca, la nazionalista Thatcher, che amava il mercato comune per le opportunità che dava alle merci britanniche, ma odiava i vincoli che il mercato unico implicava; accanto alla lady di ferro, tanti altri governi hanno cercato di rallentare, sopire, annacquare il progetto di mercato unico, resistendo a quella effettiva sovranazionalità che esso introduceva e imponeva”. Alla fine “ce l’ha fatta lui, anche perché, così come le merci si muovono liberamente solo all’interno di uno spazio regolato da una mano superiore, allo stesso modo i sistemi economici nazionali devono essere comparabili e dotati della ‘coesione economica e sociale’, con poche situazioni economiche troppo differenti tra di loro. Ecco allora che il progetto di Delors divenne quello di promuovere questa coesione come elemento chiave del mercato unico. Ecco perché promosse e rafforzò quei fondi europei che erano rimasti silenti e inutilizzati per anni: il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo di sviluppo regionale; ma non solo: ne inventò anche altri, come il Fondo di coesione, rivolto a Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia”.
Con questi fondi, la “Comunità divenne Unione, riuscì a colmare in parte divari economici e sociali, riuscì a diffondere un senso di appartenenza che resta, a tutt’oggi, il lascito principale di quegli anni complicati ma creativi. Delors ha fatto sognare gli europei, dando loro degli obiettivi e convincendoli che li potevano raggiungere”.
“Delors ha osservato la crescita del mercato unico fino alla sua trasformazione in un fine e non più in un mezzo e la contemporanea eclissi della politica partecipata, senza fare molto per invertire tale tendenza; ha lasciato che i tecnicismi economici diventassero la cifra di una identità che spesso i cittadini non comprendono e i politici non vogliono far comprendere; con la sua autorevolezza poteva fare passi concreti per una sensibilizzazione del pubblico verso l’approfondimento dell’integrazione; ha preferito restare il padre di meccanismi tecnici raffinati senza andare a fondo. Era un funzionalista, ha rinunciato a diventare federalista”. Il docente conclude: “oggi lo rimpiangiamo perché difficilmente si scruta all’orizzonte una persona della sua caratura e carisma; al massimo comparse urlanti che si baloccano con le vestigia del nazionalismo egoista, oppure algide figure che trasmettono la stessa passione politica di un ghiacciolo. Lui è mancato tantissimo quando serviva, mancherà ancora di più in futuro”.

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