“Natale racconta non solo un Dio che ama , ma un Dio che si lascia amare. E chi non si lascia amare, in realtà non ama nessuno”. È un passaggio dell’omelia dell’arcivescovo di Trento, mons. Lauro Tisi, nel solenne pontificale di Natale in cattedrale.
Mons. Tisi ha esordito citando le parole di speranza di Etty Hillesum, vittima dell’Olocausto, capace di “vedere, anche nel posto più indicibile come un campo di concentramento, uno spiraglio di luce”. “Il volto di Dio che si fa Bambino, piccolo, fragile, vulnerabile – ha aggiunto il presule – è lo spicchio di cielo che può squarciare le tenebre di quest’ora drammatica”. “La sua vulnerabilità, la sua fragilità, incredibilmente è forza, è vita”, ha argomentato l’arcivescovo riprendendo il “fotogramma evangelico” con le parole dell’angelo ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino, avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.
Il fatto di “non accettare la vulnerabilità, sognare di essere invulnerabili è il male dei mali”, ha sottolineato mons. Tisi, annunciando che “Dio viene a liberarci da questa schiavitù e a offrirci salvezza”.
“Egli – ha osservato l’arcivescovo – ci salva dalla paura che il far posto all’altro, accreditarlo, porti alla rovina di noi stessi. Grazie al Dio di Betlemme abbiamo la possibilità di fare esperienza che lasciare entrare ed accogliere l’altro nella vita è beatitudine, antidoto alla morte, liberazione dall’ossessione di sé”.
“Da dove, allora, fiorisce la speranza?”, la domanda posta dal presule. “Dalla disponibilità – è stata la risposta alla luce del Vangelo – a lasciarsi avvolgere in fasce. Dal riconoscere il bisogno viscerale di essere amati”.