“La scuola cattolica della nostra congregazione è ridotta in macerie. Poco fa siamo riuscite, nonostante il pericolo, ad andare a vedere i danni e non possiamo fare altro che piangere su ciò che è rimasto e chiederci quando sarà possibile, se mai lo sarà, ricostruire e riportare i nostri studenti a scuola”: al telefono, in lacrime, da Gaza è suor Nabila Saleh a raccontare al Sir quanto sta avvenendo nella Striscia e “nel quartiere di Tel al-Hawa, dove abbiamo l’istituto scolastico. Gli aerei di Israele hanno raso al suolo praticamente tutta l’area. Che giustizia è questa? Perché colpire gente innocente, che male abbiamo fatto per meritare tutta questa distruzione?”. Suor Nabila rivela poi un particolare: “abbiamo visto tanta gente girare tra le macerie delle proprie abitazioni, o andare in giro per racimolare un poco di cibo, di farina, con dei pezzi di tela bianca, usate come bandiera bianca, a dire ‘non colpiteci’, ‘resa incondizionata’. La popolazione è disperata non sa dove andare, non c’è acqua, non c’è luce, il cibo scarseggia, stiamo entrando nella fame. In parrocchia stiamo razionando e cerchiamo di andare avanti ma per quanto ancora?”.
“Il 90% dei cristiani di Gaza – conclude la religiosa – viveva nel quartiere di Tel al-Hawa e praticamente tutti hanno perso la casa. Qual è la nostra colpa? Qual è la colpa della popolazione? Il mondo ce lo dica se ha una risposta, i grandi della Terra dove sono? Non è giusto, non è giusto. Diteci che colpa abbiamo e perché dobbiamo pagare un prezzo così alto di vite e di distruzione”. Attualmente la parrocchia latina ospita almeno 700 cristiani sfollati, tra loro anche anziani allettati, disabili gravi, malati e feriti. Tanti sono i bambini. La parrocchia è a poco più di 5 minuti di auto dal quartiere bombardato di Tel al-Hawa e dunque a rischio, come confermato anche dal patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, in una intervista all’emittente della Cei, Tv2000: “Gli avvertimenti sono arrivati. La nostra comunità, che è informata di tutto, ha deciso di restare. Prima di tutto perché non sanno dove andare e poi perché dicono che nessun luogo nella Striscia di Gaza è al sicuro. Quindi preferiscono restare lì, pregano e confidano in Dio. È molto bello vedere come nonostante tutto riescano a mantenere una fede salda, che non è stata scossa neanche da queste bombe”.