“Una Chiesa in uscita richiede una liturgia in uscita, non tanto per portare o consegnare un rito, ma per accogliere il dono che ci raggiunge, in termini di risorse umane, di cultura, di sentimento religioso, di riti, di spiritualità, evitando qualsiasi forma di sincretismo e aiutando l’uomo a fare esperienza di Dio che sana, salva, cura le ferite”. Ne è convinto don Pierangelo Muroni, della Pontificia Università Urbaniana e del Pontificio Istituto liturgico Sant’Anselmo, intervenuto al convegno ‘La liturgia a sessant’anni dalla Sacrosanctum Concilium. L’ufficio liturgico nazionale e la riforma liturgica in Italia”, in corso alla Pontificia Università Urbaniana fino al 25 novembre. “La Bibbia è un’ininterrotta inculturazione”, ha detto l’esperto soffermandosi su questo tema attraverso un excursus dalla Sacrosanctum Concilium alla Desiderio Desideravi di Papa Francesco, e sul passaggio dell’adattamento all’inculturazione liturgica. “Occorre un linguaggio del sacro che passi attraverso le peculiarità di un popolo e ne rispetti le sensibilità che ha saputo elaborare nel tempo”, ha affermato Muroni a proposito dello stretto legame tra liturgia e cultura, tra Vangelo e storia. Di qui la centralità di quello che Papa Francesco chiama il “metodo dell’inculturazione”: “L’incarnazione di Cristo – ha concluso il relatore – sta alla base della stessa liturgia di inculturarsi. Egli, nella sua azione salvifica, usa continuamente il linguaggio dei simboli, con parole, gesti, azioni, attraverso le quali compie anche miracoli e istituisce i segni sacramentali di salvezza”.