Commemorazione defunti: card. Betori (Firenze), “pensare con serietà la morte costituisce oggi un dovere imperioso per i credenti e per la loro testimonianza”

“Pensare con serietà la morte costituisce oggi un dovere imperioso per i credenti e per la loro testimonianza. È una riflessione che è strettamente legata al ribadire che in questa storia e non fuori di essa è accaduto un fatto che ha ribaltato il potere della morte sull’uomo, liberandoci dall’angoscia esistenziale e dal timore per il nostro futuro. Un uomo, il Figlio di Dio fatto uomo, ha vinto la morte, è passato per le sue fauci, ma non ne è stato inghiottito; anzi con la sua croce egli ha fatto della morte un trofeo del suo trionfo. Un trionfo a cui egli promette di associare chiunque crede in lui”. Lo ha affermato oggi pomeriggio l’arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori, nella celebrazione per la Commemorazione di tutti i fedeli defunti che ha presieduto in cattedrale.
Nella sua omelia, il porporato commentando le letture della liturgia ha sottolineato che “Giobbe non ci offre ancora una chiara parola sulla vita oltre la morte, ma ci assicura che alla morte non si va incontro da soli, bensì in compagnia di un Dio che è nostro alleato anche in quest’ultima, decisiva prova della vita”. Mentre san Paolo ricorda che “la morte, per chi crede nel Cristo Risorto e conforma a lui la sua vita, non è un precipitare nelle tenebre, nel nulla, ma la soglia che introduce nella gloria e nella luce di Dio, nella compagnia del nostro Salvatore”. “La perdita di questa certezza di fede – ha ammonito Betori – è alla radice di preoccupanti orientamenti che si diffondono nella cultura odierna”. “Vale per quanti, rifiutando di pensare ai morti come anime che vivono nella gloria di Dio o sono in un cammino di purificazione per raggiungerla, ripropongono la figura del defunto, propria delle antiche religioni, come spirito umbratile non riconciliato con la terra, una visione di cui si nutrono fenomeni come lo spiritismo e i suoi addentellati di magia e superstizione, fino all’aberrazione del satanismo”, ha spiegato: “Questa stessa tendenza si manifesta in forme che si vorrebbero giocose, ma che scalfiscono la serietà della morte, nella vacua festa degli spiriti, estranea peraltro alla nostra cultura mediterranea”. “Su un versante diverso, per certi versi opposto, si collocano i tentativi per poter oscurare il problema della morte nella presunzione di poterne essere noi i padroni”, ha proseguito il cardinale facendo riferimento ai casi di aborto, suicidio assistito ed eutanasia che coinvolgono chi “pensa che la morte possa essere inflitta agli altri a seconda di un giudizio di accettabilità della loro esistenza nel consesso umano”. L’arcivescovo si è poi soffermato sul “tacere la morte, eliminarla dal nostro parlare, un falso espediente per eludere il problema del confronto con il limite”. “È un tacere – ha precisato – che prende le forme di una cura del corpo diventata non custodia ma ossessione, in un vitalismo giovanilista senza freni. Ma è anche un tacere che si inserisce nello sforzo di una certa cultura di cambiare la realtà attraverso la trasformazione del linguaggio, una specie di preludio all’avvento della ‘non lingua’ profetizzato da George Orwell, e che registriamo anche, in altro ambito, nel ridicolo tentativo di negare i fatti storici, come il Natale di Gesù, vittima della ‘cancel culture’”. Per Betori, “l’accoglienza e l’inclusione non consistono nel cancellare ogni identità religiosa o culturale, riducendo tutto e tutti a un magma indistinto, in cui nessuno riconosce sé stesso e gli altri. Si tratta di una deriva, un’imposizione spesso calata dall’alto e non condivisa dalla gente, neppure da chi dovrebbe essere il ‘beneficiario’ del politicamente corretto”. “La convivenza, l’arricchimento di una società non nascono dall’annullamento delle identità, ma dal loro pacifico comporsi”, ha evidenziato il cardinale: “Su questo fronte della convivenza fraterna, occorre mettere in guardia contro i segnali di ritorno dell’antisemitismo”.

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