“Siamo disponibili ad accogliere nelle nostre case le donne incinte o con figli che devono espiare la pena in carcere. Proponiamo di combattere la microcriminalità con strumenti educativi adeguati a rimuovere le cause che portano le loro madri a delinquere. Chiediamo a questo governo di riconoscere le varie comunità che già accolgono detenuti, come luoghi alternativi al carcere”. È quanto dichiara Matteo Fadda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, in merito all’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge, denominato “Pacchetto sicurezza”, che rende non più obbligatorio ma facoltativo il rinvio dell’esecuzione della pena per le donne condannate quando sono in stato di gravidanza o sono madri di figli fino a tre anni.
“Siamo preoccupati per il destino di quei minori, innocenti, che si trovano ad avere una mamma in carcere o insieme a loro condividono la detenzione. Sono proprio loro a pagare per qualcosa che non hanno commesso – continua Fadda -. Abbiamo già accolto alcune mamme con i loro bambini per permettere l’espiazione della pena in luoghi sicuri, protetti, senza sbarre e in ambienti in cui l’educazione è possibile. Queste esperienze si sono dimostrate efficaci”.
Da 19 anni “abbiamo aperto le Comunità educanti con i carcerati (Cec), strutture per l’accoglienza di carcerati che scontano la pena, dove i detenuti sono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli nelle strutture e nelle cooperative dell’associazione – conclude Fadda -. Per chi esce dal carcere la tendenza a commettere di nuovo dei reati, la cosiddetta recidiva, è il 75% dei casi. Invece nelle nostre comunità, dove i detenuti sono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli, i casi di recidiva sono appena il 15%”.