Giornata vittime abusi: Piacenza-Bobbio, sabato sera la veglia di preghiera presieduta dal vescovo nella chiesa di San Vittore alla Besurica

“La bellezza ferita. ‘Curerò la tua ferita e ti guarirò dalle tue piaghe’” (Libro del profeta Geremia 30,17). È questo il tema scelto dalla Conferenza episcopale italiana per celebrare la terza Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, in programma sabato 18 novembre. La sera alle ore 21 si svolgerà nella chiesa di San Vittore alla Besurica a Piacenza una veglia di preghiera presieduta dal vescovo di Piacenza-Bobbio, mons. Adriano Cevolotto.
Dal centro della città, cattedrale e basilica di Sant’Antonino, dove hanno avuto luogo le veglie nei due anni precedenti, alla periferia cittadina, in una parrocchia. “È il segno concreto dell’impegno della Chiesa piacentina-bobbiese, a partire dalle singole comunità parrocchiali che la compongono. È il farsi prossimo a chi è stato ferito, invocarne insieme la guarigione, chiedere perdono, rafforzare la promozione e la cura di relazioni rispettose e responsabili nella loro bellezza”, si legge in una nota della diocesi.
A settembre il Servizio diocesano tutela minori e adulti vulnerabili, in occasione del Convegno pastorale diocesano, ha consegnato ai rappresentanti delle Comunità pastorali il sussidio “Lo custodì come pupilla del suo occhio. Buone prassi per la tutela dei minori e adulti vulnerabili nelle comunità pastorali”, edito dal settimanale “Il Nuovo Giornale”. Lo strumento è consultabile e scaricabile sul sito internet della diocesi.
Come scrive il vescovo mons. Cevolotto nella pubblicazione, “una comunità educante è sana nella misura in cui sa coltivare un approccio sempre propositivo, capace di promuovere la delicatezza e la bellezza della missione educativa che ci è affidata come comunità. Stare con i minori è sentirsi chiamati a partecipare alla cura e protezione dei piccoli che è propria di tutta la comunità. Così la corresponsabilità fa uscire dalla cultura della delega e dell’alibi. Non si è chiamati a svolgere un servizio di custodia, ma a essere custodi”.

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