Il massimo dirigente dell’ultimo gruppo di guerriglia di ispirazione marxista esistente in Colombia, l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), Antonio García, con un’affermazione che ha suscitato molte reazioni nel Paese, ha giustificato i sequestri di persona come un modo per finanziare il gruppo, poiché la sua organizzazione “è povera come la maggior parte dei colombiani”. Considerazioni che stridono con lo stato di avanzato dialogo nelle trattative di pace tra il Governo e lo stesso Eln.
Il leader del gruppo si è espresso a margine del rapimento del padre del calciatore Luis Díaz, sostenendo che lo Stato voleva trarre un profitto politico dall’“errore” commesso dal Fronte di Guerra del Nord (cioè il fatto di aver rapito il genitore di un calciatore così famoso anche in Europa), aggiungendo che il caso “non ha nulla a che vedere con la violazione degli accordi di cessate-il-fuoco”. Il capo del gruppo armato ha affermato che non esiste alcun accordo in cui l’Eln si sia impegnato a “non effettuare operazioni finanziarie, comprese le privazioni della libertà”. García ha però aggiunto che il gruppo è disposto a mettere la questione del finanziamento sul tavolo del dialogo, e ha fatto notare che il governo riceve risorse internazionali per i negoziati di pace.
Il Governo non ha risposto immediatamente, ma in precedenza aveva definito “insostenibile” l’argomentazione dell’Eln, poiché “negoziare con la vita degli esseri umani è illecito”. Anche la Conferenza episcopale colombiana, che ha avuto un ruolo centrale nella liberazione del padre del calciatore, si è espressa con forza contro la pratica dei sequestri di persona. Mons. Omar Alberto Sánchez Cubillos, arcivescovo di Popayán e vicepresidente della Conferenza episcopale, ha inviato un messaggio a nome dei vescovi della Colombia, in cui afferma: “Non c’è nulla che giustifichi il sequestro di una persona. Provoca un danno immenso alla persona sequestrata, alla sua famiglia e alla coscienza collettiva di un intero Paese”.